Chi lo avrebbe detto che Google, il colosso che ha costruito un impero sulle nuvole digitali, avrebbe deciso di affondare i piedi nel cemento radioattivo di Oak Ridge, Tennessee, patria storica del Manhattan Project e ora possibile epicentro della nuova corsa nucleare. Nel 2017 i manager di Mountain View si vantavano di aver alimentato il 100% delle loro operazioni con rinnovabili. Una storia da copertina patinata, perfetta per conquistare gli investitori ESG e strappare applausi nelle conferenze di Davos. Peccato che il sogno verde abbia avuto la durata di una batteria di smartphone: l’esplosione della domanda di calcolo per Google AI, l’arrivo dell’intelligenza artificiale generativa, il boom di veicoli elettrici e pompe di calore hanno fatto triplicare i consumi. A quel punto, rincorrere il sole e il vento non basta più, soprattutto se la concorrenza si accaparra gli stessi megawatt di fotovoltaico e turbine.
Ecco allora che entra in scena il “small modular reactor”, la nuova buzzword capace di far brillare gli occhi agli ingegneri nucleari e tremare i polsi agli investitori. Non si tratta di costruire un mostro da mille megawatt come i vecchi Westinghouse AP1000, che hanno divorato anni e miliardi a Vogtle in Georgia, consegnando due reattori costati come una guerra regionale. Quello non funziona per un’azienda che misura il tempo in release trimestrali e i bilanci in decimali di dollari per click. Ci vuole un design più agile, modulare, che si monta in fabbrica come una Tesla e si piazza direttamente accanto a un data center pronto a sfornare modelli linguistici. Peccato che, a oggi, nessuno abbia ancora dimostrato di poter vendere un reattore di questo tipo a un prezzo che non faccia scappare i CFO.
New Scale ci ha provato. Una startup del 2007, elogiata come il futuro del nucleare leggero. Il loro piccolo PWR da 77 megawatt sembrava una versione bonsai degli AP1000. Sicuro, elegante, rassicurante per i regolatori. Ma quando i conti hanno iniziato a lievitare fino a 9,3 miliardi per meno di mezzo gigawatt in Idaho, con costi più che raddoppiati rispetto alle previsioni, persino i sussidi federali hanno perso senso. Risultato: licenziamenti, contratti evaporati, e il sogno ridimensionato in un brusco ritorno alla realtà.
Kairos Power invece ha deciso di giocare all’opposto. Altro che conservatorismo ingegneristico: qui siamo di fronte a un approccio massimalista, quasi visionario. La loro idea di small modular reactor sembra uscita da un laboratorio fantascientifico: carburante TRISO, arricchito fino al 19,5%, sferette di uranio incapsulate in strati protettivi che ricordano più una tecnologia per sonde spaziali che per centrali elettriche. Un refrigerante a sali fusi invece dell’acqua, grafite come moderatore e temperature di esercizio doppie rispetto ai reattori classici. In pratica, una rottura radicale con decenni di standardizzazione nucleare. Geniale o suicida? Dipende dal portafoglio.
Il punto debole è sempre lo stesso: l’economia. Costruire un impianto dimostrativo, Hermes, con il supporto del Dipartimento dell’Energia statunitense e 33 milioni di dollari pubblici, va bene per i test. Ma trasformare quel prototipo in un parco da 500 megawatt capace di soddisfare Google AI entro il 2035 richiede una catena di approvvigionamento che oggi semplicemente non esiste. Il combustibile arricchito al 19,5% lo produce solo la Russia, mentre l’unica alternativa americana, Centrus Energy, arranca tra roadmap ottimistiche e problemi industriali. Quanto al refrigerante, Kairos dovrà costruirsi una fabbrica da zero, perché il sale fuso non è esattamente sugli scaffali di Amazon Business.
Nonostante ciò, Google ha firmato un power purchase agreement. Non conosciamo i termini, ma sappiamo che il gigante californiano non ama perdere tempo. Se davvero il prezzo pattuito fosse attorno ai 50 dollari per megawattora, mentre i costi reali toccano i 100, l’operazione rischierebbe di trasformarsi in un atto di greenwashing nucleare, utile a comunicare visione ma incapace di sostenersi sul mercato. Perché, come sempre, i fogli Excel contano più dei comunicati stampa.
Il paradosso è evidente. Tecnologicamente, il design di Kairos ha una logica. Il TRISO è considerato uno dei combustibili più sicuri al mondo: le particelle rimangono stabili a temperature altissime, impedendo il meltdown anche in caso di perdita di refrigerante. La combinazione con i sali fusi consente efficienze termodinamiche superiori, fino a lambire i limiti teorici del ciclo di Carnot. È il genere di innovazione che fa gola a chiunque cerchi di ridurre i costi di calcolo e l’impronta carbonica contemporaneamente. Ma economicamente, il nucleare resta prigioniero della sua maledizione storica: capitali upfront enormi, tempi lunghi, ritorni incerti.
Google sembra ignorare il dettaglio, o forse lo comprende benissimo e ha deciso di trasformarsi in catalizzatore. Se un colosso con bilanci da centinaia di miliardi decide di legittimare gli small modular reactor, i flussi di capitale privato e i finanziamenti pubblici potrebbero sbloccarsi. In questo senso, il power purchase agreement non è tanto un contratto energetico quanto un messaggio politico. È come dire: la più grande macchina di intelligenza artificiale del pianeta ha bisogno di energia nucleare, e se non volete che la Russia o la Cina ci sorpassino, è meglio accelerare.
Perché nel frattempo Pechino non aspetta. La Cina ha già due reattori a pebble-bed raffreddati a gas in funzione, basati proprio sul concetto di sfere di combustibile rivestite in grafite. Sono operativi dal 2021, e rappresentano un test concreto che dimostra come certi concetti, derisi in Occidente come fantascienza, siano già realtà industriale altrove. Se Google riuscirà davvero ad avere un SMR in Tennessee nel 2030, sarà più un pareggio che una vittoria.
Tutto questo avviene mentre il settore energetico statunitense è terrorizzato dai fantasmi di Vogtle. Le utilities non vogliono più sentir parlare di centrali nucleari giganti. Ogni progetto viene percepito come una voragine finanziaria potenziale. La promessa degli SMR era proprio questa: costi contenuti, modularità, tempi rapidi. Ma finora, nessuno è riuscito a consegnare un reattore funzionante sul mercato occidentale. Kairos potrebbe essere il primo, se riesce a superare i rischi di filiera e a convincere gli investitori che il prezzo finale non sarà una replica in scala ridotta del disastro finanziario già visto.
Rimane poi la questione di cosa fare nei prossimi dieci anni. Perché, mentre Hermes e Hermes 2 si muovono tra licenze e test, Google AI continuerà a divorare elettricità a un ritmo insostenibile per le reti. La vera domanda non è se uno small modular reactor alimenterà i data center nel 2035, ma se nel frattempo l’intelligenza artificiale avrà già generato una crisi energetica che costringerà governi e aziende a rivedere le loro priorità. Forse i sali fusi di Kairos non salveranno la situazione, ma avranno preparato il terreno per una rinascita nucleare americana.
Dopotutto, il nucleare è l’unica tecnologia in grado di fornire energia carbon free su larga scala, 24 ore su 24, senza dipendere dalla variabilità meteorologica. È il tipo di scommessa che un’azienda come Google deve fare, anche solo per posizionarsi come leader nella transizione energetica. È la dichiarazione che conta più della consegna. Un giorno, forse, l’algoritmo di ricerca che conosciamo sarà alimentato non dal sole della California ma dal calore di un reattore modulare immerso nei sali fusi del Tennessee. Se ciò avverrà davvero o resterà l’ennesima illusione nucleare, lo scopriremo quando i contabili tireranno una riga sotto i costi.
Da un lato abbiamo Google, che punta a garantire un flusso costante di energia carbon-free per i suoi intensivi workload di generative AI; dall’altro, la Tennessee Valley Authority (TVA), per la prima volta negli USA, ha presentato all’NRC (Nuclear Regulatory Commission) una domanda formale per costruire un SMR (design BWRX-300 di GE Hitachi) sul sito di Clinch River, sempre a Oak Ridge. A livello pratico, si tratta del primo passo concreto nel percorso regolatorio per realizzare un reattore modulare avanzato sul suolo americano.
Parallelamente, TVA prepara il terreno regolatorio per ospitare un BWRX-300, design da 300 MW: la domanda è già all’NRC, l’approvazione preliminare ambientale e di sito (Early Site Permit) era già acquisita, e si ipotizza operatività nel 2032, almeno secondo le stime di Associated Press.