Gartner ha pubblicato in silenzio il suo Hype Cycle 2025 a giugno, come se fosse una nota a piè di pagina da non disturbare troppo. Il punto è che dice quello che molti, tra i più onesti, già sapevano: la stagione del cosiddetto Hype-as-a-Service sta evaporando. La mania si sta consumando da sola, come una bolla che implode senza nemmeno lo spettacolo pirotecnico che prometteva. Chi sperava in una maratona scopre che era solo uno sprint. E la verità è che la Generative AI ha già cominciato a scivolare nel Trough of Disillusionment, quella valle grigia in cui finiscono tutte le mode tecnologiche quando si accorgono che non possono mantenere le promesse gridate nei pitch da miliardi.

Il paradosso è che la Generative AI è un’industria da 100 miliardi di dollari, capace di riempire le prime pagine quando conviene, di monopolizzare conversazioni e budget aziendali, di convincere i board che il futuro è già qui. Eppure, quando un report autorevole come quello di Gartner suggerisce che il re è nudo, il silenzio diventa assordante. Meglio non parlarne, non incrinare il racconto, non disturbare il business model. Il risultato è che la narrazione dominante rimane immacolata, mentre le crepe crescono.

Si era detto che ChatGPT-5 sarebbe stato il punto di svolta, il vero salto quantico. Invece il lancio ha lasciato un sapore amaro, un déjà-vu travestito da rivoluzione. Non si tratta solo di delusione, è molto peggio. Per OpenAI e per l’intera architettura basata sui transformers, l’insuccesso rappresenta una minaccia esistenziale. Non puoi vendere l’idea di “intelligenza artificiale generale” se l’unico risultato tangibile è un chatbot un po’ più fluido di quello precedente. La realtà è che il soffitto dei transformers è già visibile. Funzionano bene, certo, ma non sono una bacchetta magica. E quando l’hype si dissolve, la domanda scomoda rimane sospesa: e adesso?

Gli AI agenti, oggi all’apice dell’esaltazione mediatica, sono il nuovo giocattolo preferito dei keynote e delle slide patinate. Peccato che siano anche estremamente fragili. Funzionano per dimostrazioni spettacolari e prove di concetto, ma poggiano su un debito tecnico crescente, su vulnerabilità di sicurezza che fanno rabbrividire e su un’architettura incoerente. È un castello costruito su sabbie mobili. La promessa di orchestrare modelli in grado di “agire” sembra affascinante, ma dietro la facciata si intravede un bricolage di patch e scorciatoie. Se sei un pessimo ingegnere, resterai tale anche quando scrivi prompt o coordini agenti. Non c’è magia che tenga.

È qui che la storia diventa interessante. Perché se i transformers hanno già mostrato i loro limiti, e se l’industria insiste a truccare le stesse dinamiche per rivenderle in confezioni nuove, allora bisogna guardare altrove. E infatti ricompaiono idee antiche che sembravano dimenticate: i knowledge graph, l’AI neurosimbolica, i world model. Non è nostalgia accademica, è pura necessità. Dichiarare regole, costruire strutture esplicite, accettare che l’intelligenza non è solo correlazione statistica ma anche rappresentazione, può risultare molto più sostenibile rispetto alla bulimia di parametri. In fondo, se ci pensi, anche il capitalismo ha dovuto imparare che la leva finanziaria infinita porta al collasso. Perché mai l’intelligenza artificiale dovrebbe essere diversa?

La lezione della storia è che ogni rivoluzione tecnologica nasce zoppa. I telai a vapore nell’Ottocento non avevano nulla a che vedere con l’urbanizzazione di massa o con il capitalismo globale che ne è derivato. Le prime automobili non sono nate pensando a stazioni di servizio o autostrade. Ogni innovazione viene inizialmente forzata dentro vecchie metafore, travisata, iper-venduta e inevitabilmente ridimensionata. L’euforia anticipa sempre il disincanto. Ma è proprio lì, dopo la caduta, che si apre il campo per costruire qualcosa di serio.

Ciò che accadrà alla Generative AI non è diverso. L’attuale fase, ossessionata dall’automazione totale, si avvia al tramonto. Verrà presto sostituita da una fase di reinvenzione. E non vinceranno quelli che inseguono agenti autonomi, o quelli che spremono fino all’ultima goccia i transformers come limoni avvizziti. A prevalere saranno le aziende capaci di rallentare, di abbandonare la retorica dell’efficienza immediata e di costruire strumenti che amplificano l’intelligenza umana invece di tentare di sostituirla. Le vere innovazioni nasceranno dall’immaginazione, dalla fiducia, dai valori, non da slide patinate che vendono automazione senza responsabilità.

Il mercato però ha memoria corta, e ama raccontarsi sempre la stessa favola: che il prossimo rilascio, la prossima architettura, il prossimo agente risolverà tutto. È la versione tecnologica del “questa volta è diverso”. Non lo è mai. Ogni volta si ridefinisce l’entusiasmo, si gonfia una nuova bolla, e ogni volta l’aria inevitabilmente esce. È in quel momento che si misura la differenza tra chi stava solo surfando sull’onda e chi, invece, stava davvero costruendo infrastrutture per il futuro.

Il ciclo di Gartner non è mai un verdetto, ma un termometro. Indica che la temperatura dell’hype sta scendendo, e che la febbre collettiva della Generative AI si sta calmando. Non significa che la tecnologia morirà, anzi. Significa che la festa a base di promesse irrealistiche è finita, e che chi resta in campo dovrà fare i conti con il duro mestiere di progettare, implementare, mantenere. È in questo passaggio che si vede la differenza tra i venditori di sogni e i costruttori di futuro.

Il problema, e forse anche la speranza, è che non si tratta di un finale. È solo un reset, un momento di chiarezza. Chi è abituato a guardare oltre la propaganda sa che ogni caduta dell’hype libera spazio. Ed è in quello spazio che si giocano le partite più importanti. Non nelle demo virali, non nelle slide degli investitori, ma nel lavoro silenzioso di chi capisce che la Generative AI non deve sostituire l’uomo, ma renderlo più capace. Il resto è rumore di fondo.


Gartner, Hype Cyclefor Artificial Intelligence, 2025, Birgi TamersoyHaritha Khandabattu, 11 June 2025.

According to Gartner: “While the business impact of the embryonic quantum AI field today is low, when validated techniques mature, quantum AI will enable competitive advantage across industries; for instance:

  • Material science: Revolutionize energy transportation, manufacturing and create new revenue streams by discovering new materials.
  • Life sciences: Transform drug discovery by shortening timelines, lowering costs and improving outcomes.
  • Finance: Optimize portfolios, minimize risk and improve fraud detection systems.”

Gartner added: “Governments and enterprises globally are increasing funding for quantum (and quantum AI) research, resulting in accelerated innovation.”