In una riflessione pungente degna della copertina di un economista irritato, arrivano le prime scintille di caos nel mondo dorato dell’intelligenza artificiale : OpenAI lancia un avvertimento ruvido verso quegli “spv non autorizzati”, quei veicoli di investimento che promettono accesso privilegiato e non riconosciuto il sacro graal dell’equity dell’azienda.

La società scrive chiaro e tondo che è in corso una caccia alle operazioni non autorizzate SPV inclusi che tentano di aggirare le rigide limitazioni imposte ai trasferimenti azionari. Chi compra senza il visto bianco di OpenAI, commentano con ironia amarognola, si ritroverà con un pezzo di carta che “non sarà riconosciuto e non avrà alcun valore economico.” Una sorta di biglietto stampato al porto, sbagliato e inutile, nonostante le promesse patinate. (annuncio OpenAI)

Le testate finanziarie l’hanno colta al balzo, anzi con il bisturi. Il Financial Times mette in risalto come OpenAI insieme a Anthropic –tia inasprendo controllo sugli SPV, soprattutto per evitare una galassia di investitori opachi e transazioni fantasma. Il rischio? Perdita di visibilità sugli azionisti, frodi e evasione delle regole. OpenAI ha anche avviato azioni legali contro chi scambia equity via SPV senza passare dal suo vaglio, mentre Anthropic avverte gli investitori che useranno SPV non autorizzati potrebbero anche rimanere fuori da un giro di finanziamento da 5 miliardi di dollari. (Financial Times)

Nel frattempo, siamo alle prese con il fenomeno delle “tokenized shares” – pressoché titoli virtuali – che piattaforme come Robinhood hanno tentato di lanciare evocando spoglie blockchain, come se fossero investimenti smart e accessibili. Ma qui entra in gioco la severa sberla di OpenAI: quei token non sono equity, non derivano da sua approvazione, e soprattutto non rappresentano nulla di ufficiale. “State attenti”, recita il post dell’azienda su X, “non siamo coinvolti, non abbiamo approvato nulla, fate attenzione.”

Robinhood replica col suo consueto ethos “tecno-pop”: è una “limited giveaway” per i piccoli risparmiatori, dicono, che possono entrare nel “tokenization revolution” grazie a un’SPV che detiene titoli reali. Ma i tecnici della finanza si mettono le mani tra i capelli: l’SPV è un’entità separata, il token è solo un contratto che segue il prezzo di un asset, senza diritti reali, senza voto, senza dividendi. Peraltro, come già accaduto con Linqto, uno SPV simile è finito in bancarotta, lasciando gli ignari investitori in guai seri.

Ecco allora la paranoia che aleggia nei corridoi high-tech: Investitori turistici, SPV a piramide, token miracolosi buttati sul mercato… il tutto mentre OpenAI e Anthropic serrano i ranghi per non finire nella babele delle presunte vendite non autorizzate. Il FT, in quei toni sobri ma spietati, descrive il mercato ora come “più selvaggio che mai”, e la pressione governativa su compartecipazioni straniere e trasparenza dei possessori finali non aiuta certo a calmare le acque. Financial Times

La morale sottile e implacabile arriva a chi ha voglia di leggerla tra le righe: la tokenizzazione dell’equity privata può essere la moda del momento, ma se il proprietario del brand – in questo caso OpenAI – ti guarda con diffidenza e ti toglie il tappeto da sotto i piedi, ti rimane in mano un pezzo di carta digitale, e niente altro.

La prossima volta che qualcuno ti offre “esposizione a OpenAI tramite SPV o token”, ricordati: dietro la facciata patinata può esserci solo un contratto senza valore reale. E se vuoi equity vera, dovrai passare dagli sportelli ufficiali vigili, scrupolosi, intransigenti. Ma questo lo sai già.


SPV è l’acronimo di Special Purpose Vehicle, in italiano Società Veicolo. Si tratta di una società creata per uno scopo specifico, spesso legata a operazioni di cartolarizzazione o finanziamento di progetti particolari. Le SPV sono entità legali separate dalla società madre o dagli investitori che le costituiscono, e sono progettate per isolare rischi finanziari e legali.