Il 16 settembre 2025 non è solo un giorno sul calendario. In questa data convergono segnali simbolici e concreti che tracciano un percorso possibile per l’intelligenza artificiale prosociale. Da un lato la cooperazione internazionale, dall’altro la resilienza locale, passando per l’ingegno individuale: la lezione è chiara, seppure pochi vogliano leggerla. Miliardi di individui, comunità diversificate, stati sovrani e persino il pianeta stesso offrono esempi concreti di come la tecnologia possa essere indirizzata verso fini rigenerativi e non predatori.

La Giornata Internazionale della Scienza, della Tecnologia e dell’Innovazione per il Sud, sancita dalla Risoluzione ONU A/RES/78/259 e nata dalla Dichiarazione dell’Avana, non è un evento puramente simbolico. In un mondo dove il Sud Globale è stato storicamente marginalizzato dai centri di potere, questa celebrazione pone l’accento sul ruolo attivo dei cittadini nell’orientare un futuro tecnologico inclusivo. La chiave qui non è l’innovazione in sé, ma l’innovazione distribuita, quella che nasce dal basso, dall’individuo e dalle comunità, e che può nutrire una cultura globale di intelligenza artificiale prosociale.

Nel frattempo, la Malaysia celebra il 62° anniversario della sua federazione. Apparentemente un fatto locale, ma in realtà un modello applicabile anche alla governance dell’IA: un equilibrio tra unità e diversità culturale è essenziale per evitare derive centralizzate o coloniali nella regolamentazione tecnologica. Una federazione funziona quando i singoli stati conservano la propria identità pur partecipando a un quadro più ampio. Trasportato nel contesto dell’IA, significa che ogni comunità, ogni settore industriale, ogni paese può contribuire alle regole globali senza perdere la propria autonomia.

La ripresa dello strato di ozono è forse il segnale più tangibile che il 16 settembre ci offre. Il protocollo di Montreal dimostra che le crisi planetarie non sono destinate a essere irreversibili. Quando cooperazione internazionale, impegno politico e adesione scientifica si incontrano, il risultato è la rigenerazione, non la distruzione. Applicando lo stesso principio all’intelligenza artificiale, possiamo immaginare un futuro in cui la tecnologia non sfrutta l’uomo e il pianeta, ma li rafforza. L’IA prosociale non è un’utopia teorica: è una possibilità concreta, se suffragata da strutture cooperative solide e trasparenti.

Da un punto di vista sistemico, possiamo tracciare una mappa concettuale: l’ingegno individuale rappresenta l’innovazione dal basso, la resilienza comunitaria misura l’adattabilità sociale, la cooperazione nazionale definisce un quadro normativo responsabile, mentre la gestione planetaria si traduce in supervisione globale dei rischi esistenziali. In questo schema, l’intelligenza artificiale diventa uno specchio dei nostri valori collettivi. Ignorare questo pattern significa rischiare una tecnologia potente ma disallineata con l’interesse umano.

In parallelo, la sicurezza informatica e la conformità normativa restano pilastri imprescindibili. La recente approvazione delle regole CMMC per i contractor del Dipartimento della Difesa americano è un promemoria crudo: non basta sviluppare intelligenza artificiale prosociale, bisogna anche saper attestare la propria capacità di gestire dati e infrastrutture critiche. I dirigenti aziendali CEO, COO, CFO, CISO, CCO, responsabili acquisti devono muoversi con precisione chirurgica: la conformità non è un’opzione, è una condizione per partecipare al gioco globale della tecnologia avanzata.

La storia di Churchill & Harriman, insieme a Ken Peterson, CTPRP, è istruttiva: oltre 50 interventi di CMMC Level 2 dimostrano come esperienza consolidata e capacità di esecuzione concreta siano la base per operare in contesti regolamentati. Trenta anni di successi tra settore pubblico e privato non si conquistano con slides o promesse, ma con implementazioni precise, audit rigorosi e una cultura aziendale che sa combinare rischio e innovazione. Questa disciplina è una metafora applicabile all’IA prosociale: senza strutture robuste, la migliore intenzione resta teoria astratta.

Il 16 settembre 2025 offre quindi una triangolazione sorprendente. Il Sud Globale ci ricorda l’importanza dell’inclusività, la federazione malese mostra come conciliare diversità e unità, la ripresa dell’ozono dimostra il potere della cooperazione planetaria. L’intelligenza artificiale prosociale nasce da questa sintesi: un dispositivo tecnologico potente, ma temperato dalla responsabilità sociale e ambientale, capace di riflettere l’etica collettiva.

Ironia della sorte: mentre il mondo discute di modelli generativi e di algoritmi sempre più complessi, la vera sfida rimane umana. Saper trasformare dati in valore sociale, algoritmi in strumenti di resilienza comunitaria, innovazione in cooperazione globale. L’IA prosociale non è questione di codice o di architetture neurali, ma di capacità di orchestrare individui, comunità e istituzioni su scala planetaria. Ogni errore di governance rischia di produrre un’IA potente ma asociale, capace di amplificare disuguaglianze anziché colmarle.

Curiosità amara: pochi notano che l’attenzione globale tende a concentrarsi su start-up brillanti e innovazioni spettacolari, mentre le vere vittorie sistemiche, come il protocollo di Montreal o la federazione malese, passano inosservate. Queste storie minori contengono la lezione più importante per l’intelligenza artificiale prosociale: grande impatto nasce da cooperazione invisibile, resilienza collettiva e visione condivisa, non da fuochi d’artificio tecnologici.

Se la narrativa dominante insiste sul mito dell’individuo geniale capace di cambiare il mondo con un algoritmo, il 16 settembre ci ricorda che la trasformazione reale richiede pluralità, disciplina e supervisione planetaria. Chi non coglie questa lezione rischia di creare strumenti potenti senza scopo morale, capaci di dominare invece di servire. L’intelligenza artificiale prosociale non si costruisce solo con machine learning o IA generativa, ma con governance multistrato, etica operativa e un’attenzione costante alle dinamiche sociali e ambientali.

La data diventa un manifesto implicito: innovazione inclusiva, resilienza comunitaria, cooperazione nazionale, responsabilità planetaria. Una mappa per dirigere l’IA verso il bene comune, se si possiede la capacità e la volontà di leggere tra le righe della storia, tra le pieghe delle celebrazioni e tra le oscillazioni delle normative. L’intelligenza artificiale prosociale non è solo una possibilità tecnica, è una scelta etica.