L’industria del calcolo quantistico è affamata di un cambio di paradigma e ogni annuncio che odora di concretezza genera più euforia di una trimestrale di Wall Street ben truccata. Quantum Source ha presentato Origin, il suo blocco fondamentale per computer quantistici fotonici, promettendo ciò che fino a ieri era materiale da keynote visionari: milioni di qubit, fault tolerance e nessuna criogenia ingombrante. In altre parole, il sogno di chi non vuole più sentire parlare di frigoriferi a diluizione che consumano energia come un data center e occupano spazio quanto una stanza blindata.

La narrativa è seducente. Origin sarebbe un generatore deterministico di stati fotonici, capace di interazioni fotone‑atomo stabili e riproducibili. Non il solito approccio probabilistico che produce entanglement quando capita, ma un processo teoricamente affidabile, integrabile in rack standard, con componentistica producibile in fabbriche semiconduttori esistenti. La differenza tra il laboratorio universitario e un server farm è tutta lì. E se l’azienda israeliana guidata da Oded Melamed riuscisse davvero a scalare questo modello, la distanza tra ricerca e business si accorcerebbe a velocità quantistica.

Il denaro ha già bussato alla porta. Con oltre 77 milioni di dollari raccolti in due round, uno dei seed più corposi del settore e una successiva iniezione di capitale, Quantum Source ha portato a bordo anche figure politiche e imprenditoriali come l’ex premier israeliano Naftali Bennett. Il pedigree scientifico deriva da Barak Dayan del Weizmann Institute, mentre i co‑founder provengono dal mondo dei semiconduttori, con track record di exit miliardarie. Il mix di scienza pura, esperienza industriale e storytelling aggressivo è calibrato per catturare sia investitori che policy maker.

Il claim più ardito resta quello dei milioni di qubit. Qui il diavolo è nei dettagli. Parlare di milioni di qubit fisici non equivale a parlare di milioni di qubit logici. La correzione degli errori è il tallone d’Achille di ogni architettura quantistica e la soglia di fedeltà richiesta per rendere un sistema fault tolerant resta draconiana, spesso inferiore all’1 per cento di errore. Ad oggi nessuno ha dimostrato pubblicamente che Origin riesca a mantenere queste prestazioni su scala rilevante. Non a caso i documenti tecnici diffusi sono parsimoniosi di numeri concreti su fidelità e decoerenza. Una scelta furba, che lascia intatta la magia della promessa senza offrire punti d’appoggio troppo solidi alla critica scientifica.

La faccenda si complica quando si passa alla rivelazione dei fotoni. Anche se l’intero sistema è presentato come operante a temperatura ambiente, la catena di rilevamento richiede comunque tecnologie di raffreddamento spinto. Il paradosso è evidente: si elimina la criogenia massiccia del core quantistico per ritrovarla nei detector. Non è un dettaglio, perché il cosiddetto “ultimo miglio” tecnologico rischia di vanificare parte del vantaggio competitivo sbandierato. Il business plan è fatto per sedurre i partner industriali che nel 2026 dovrebbero avere accesso in anteprima al sistema, ma la parte più delicata della catena resta ancora avvolta nel silenzio.

Se le promesse si realizzassero, l’impatto sarebbe devastante per l’equilibrio del settore. La scomparsa della criogenia come barriera tecnica ridurrebbe costi e ingombri, democratizzando l’accesso al calcolo quantistico avanzato. Immaginate aziende farmaceutiche che non devono più costruire bunker criogenici per simulare molecole, banche che ottimizzano portafogli complessi senza sprecare anni di ricerca e intelligenze artificiali che addestrano modelli in spazi ancora inesplorati della fisica computazionale. Non sarebbe un passo avanti, ma un salto quantico che rimescolerebbe il gioco tra superconduttori, ioni intrappolati e qubit topologici.

Eppure l’ottimismo dovrebbe restare temperato dal realismo. Il mercato del quantum computing ha già assistito a troppe presentazioni scintillanti seguite da roadmap puntualmente slittate. Gli ingegneri sanno che industrializzare un prototipo da laboratorio è più arduo che progettare l’ennesima GPU. Cavità ottiche, allineamento atomico, stabilità termica e fabbricazione in grandi volumi sono ostacoli enormi. La compatibilità con le fabbriche semiconduttori è una promessa affascinante, ma tradurla in produzione con yield adeguati è un altro film. E i capitali, per quanto abbondanti, bruciano velocemente quando la fisica e l’ingegneria non collaborano.

Origin rappresenta quindi un paradosso affascinante: la possibilità di una rivoluzione a portata di rack, e insieme il rischio di un’illusione alimentata da storytelling e capitali. Se il 2027 confermerà che Quantum Source ha davvero spinto il quantum computing dal mondo dei keynote al mondo delle supply chain, allora avremo assistito alla nascita della prima architettura fotonica pratica e commerciale. In caso contrario, resterà un altro episodio della lunga saga del calcolo quantistico, dove le promesse arrivano sempre in tempo e i risultati quasi mai. Il fatto stesso che il settore si aggrappi con tanta avidità a ogni annuncio è la prova migliore che il mercato non aspetta una tecnologia, ma un miracolo ingegneristico.