Donald Trump ha deciso di colpire il cuore pulsante della globalizzazione tecnologica con un colpo secco: centomila dollari per ogni richiesta di visto H-1B. Non è una tassa, è un segnale. Un messaggio scritto a caratteri cubitali per gli elettori americani e al tempo stesso un atto di guerra commerciale che costringe Narendra Modi a gestire un’altra crisi a stelle e strisce. L’India, che ha costruito un settore IT da 280 miliardi di dollari proprio grazie alla fluidità di quel corridoio digitale con gli Stati Uniti, si ritrova improvvisamente davanti a un conto che nessuno a Bangalore o Hyderabad aveva voglia di pagare.
Il paradosso è che queste restrizioni non danneggiano soltanto Infosys, Tata Consultancy Services o HCL, ma rischiano di strangolare le stesse aziende americane che predicano “America First” mentre delocalizzano cervelli in massa. Microsoft, Google, Goldman Sachs, JPMorgan: tutti hanno costruito giganteschi global capability centres in India, non per filantropia, ma perché il modello funziona. L’aumento vertiginoso delle fee spingerà i colossi americani ad accelerare lo spostamento offshore, facendo crescere ulteriormente la dipendenza dal know-how indiano. È un classico caso di autogol geopolitico.
I numeri parlano chiaro: nel 2025 oltre 470mila richieste per 65mila visti disponibili, più 20mila riservati ai laureati USA. Il 72 per cento dei beneficiari è indiano, con Infosys che nel solo 2024 ha ottenuto oltre 2.500 approvazioni. Facile fare il calcolo: sotto le nuove regole, la sola Infosys pagherebbe 250 milioni di dollari. Una tassa che non colpisce la Silicon Valley, ma il modello stesso su cui è stata costruita la collaborazione indo-americana degli ultimi trent’anni.
La reazione politica è stata prevedibile. L’opposizione indiana accusa Modi di aver fallito nella difesa degli interessi nazionali, mentre il premier evita accuratamente di menzionare la questione nei suoi discorsi pubblici. Sullo sfondo c’è la diplomazia del commercio, con New Delhi che prova a chiudere un accordo con Washington mentre si trova costretta a negoziare con una pistola sul tavolo. Un déjà-vu per Modi, costretto a rincorrere le oscillazioni di un presidente americano che usa i visti come leva elettorale.
Gli economisti definiscono la mossa di Trump un classico “supply-side shock”: un’imposizione che aumenta i costi e riduce la certezza contrattuale. Arup Raha, voce indipendente da Singapore, lo ha detto senza giri di parole: non conviene neppure agli Stati Uniti. Il motivo è semplice. Le aziende americane hanno bisogno di ingegneri sul campo, ma non possono sostituirli con la stessa rapidità. Non basta qualche stage a Stanford per rimpiazzare decine di migliaia di programmatori mid-level che tengono in piedi i sistemi di banche, ospedali e catene retail.
Ciò che colpisce è l’incoerenza sistemica. Trump dichiara di voler “ripulire” il programma H-1B da abusi e frodi, eppure nello stesso respiro inventa una tassa arbitraria che nulla ha a che vedere con la trasparenza amministrativa. È difficile non leggere questa misura come un messaggio politico diretto agli swing states più che come una politica industriale coerente. “Il messaggio è semplice: studenti stranieri non siete i benvenuti, lavoratori stranieri non siete i benvenuti”, ha dichiarato Chander Prakash Gurnani, ex CEO di Tech Mahindra, oggi alla guida di una società di intelligenza artificiale. Una citazione che suona come un epitaffio per la narrativa della Silicon Valley inclusiva.
Il risultato immediato sarà una riduzione drastica dei lavoratori indiani presenti fisicamente negli Stati Uniti. TCS, Infosys e HCL avevano già iniziato a ridurre la dipendenza dai visti dopo le minacce del primo mandato di Trump e durante la pandemia, quando i progetti venivano gestiti da remoto. L’aumento dei costi renderà ancora meno conveniente mandare ingegneri a tempo pieno presso i clienti americani. La relazione diretta col cliente, quell’elemento chiave che per decenni ha garantito alle aziende indiane margini e fedeltà, rischia così di incrinarsi.
L’aspetto ironico è che tutto questo potrebbe accelerare un trend già in corso: l’espansione offshore delle multinazionali americane. Se mantenere personale in loco diventa proibitivo, la soluzione naturale sarà ingrandire i campus di Bangalore o Hyderabad. In altre parole, più posti di lavoro creati in India e non negli Stati Uniti. È la globalizzazione che ritorna dalla finestra dopo essere stata cacciata dalla porta.
La confusione generata dalle nuove regole ha già avuto un effetto collaterale concreto. Microsoft, Amazon e Alphabet hanno consigliato ai dipendenti di evitare viaggi all’estero per paura di rimanere bloccati. La paura dell’incertezza pesa più della tassa stessa, perché congela decisioni, rallenta investimenti e riduce la propensione al rischio. Un settore abituato a operare con roadmap quinquennali si ritrova improvvisamente ostaggio di decreti presidenziali che cambiano con l’umore politico.
Il rischio per Trump è che l’industria tech americana, tradizionalmente ambivalente nei suoi confronti, si trasformi in un fronte apertamente ostile. Le cause legali sono già pronte, perché l’ordine presidenziale appare in contrasto con il diritto federale. Nulla di nuovo per un presidente abituato a sfidare i tribunali, ma l’esito resta incerto. “Niente è mai definitivo con Trump”, come ha sintetizzato Bhaskar Rao di Digital Sea. Una frase che riassume perfettamente l’instabilità di un ecosistema dove i contratti multimiliardari dipendono dall’umore di un solo uomo.
Per l’India, la partita non si gioca solo sui bilanci delle società di outsourcing, ma sul posizionamento strategico. Ogni restrizione americana diventa un’opportunità per rafforzare l’India come hub globale indipendente, capace di attrarre investimenti non solo dagli Stati Uniti ma anche dall’Europa e dall’Asia. Ma nel breve termine resta la realtà amara: una tassa da centomila dollari per ogni visto è un macigno che ridisegna i margini operativi e mette a rischio migliaia di posti di lavoro legati alle trasferte all’estero.
La verità è che il visto H-1B è diventato un campo di battaglia simbolico. Non si tratta più soltanto di mobilità professionale, ma di chi controlla le regole del gioco nel nuovo ordine digitale. Modi si trova costretto a difendere un modello che ha reso l’India il back-office del mondo, mentre Trump recita la parte del difensore dei lavoratori americani con un prezzo da boutique di lusso per ogni ingegnere straniero. La scena è grottesca, ma perfettamente in linea con i tempi.