Il mondo della tecnologia ama le rivoluzioni silenziose, quelle che arrivano mascherate da giocattolo digitale ma che in realtà sono cavalli di Troia pronti a destabilizzare interi settori. OpenAI con il progetto Sora 2 sta tentando un’operazione chirurgica: un social media verticale simile a TikTok, con la differenza sostanziale che nessun video sarà reale, nessun upload tradizionale, nessuna fotocamera accesa. Tutto verrà generato dall’intelligenza artificiale. Un feed infinito di clip di dieci secondi che ti promettono spettacolo, identità verificata e possibilità di essere “usato” da altri, con tanto di notifica se qualcuno decide di far recitare la tua faccia digitale. Se vi sembra fantascienza, fatevi un giro su Wired e leggete la notizia: non è un rumor, è una dichiarazione di intenti.

L’operazione si inserisce in un mercato già congestionato, dove TikTok resiste agli attacchi normativi negli Stati Uniti, Meta prova con Vibes a infilare i suoi video sintetici in Facebook e Instagram e Google gioca la carta Veo 3 dentro YouTube. Ma la mossa di OpenAI è diversa: qui non si tratta di abbellire l’esperienza utente, ma di sostituirla radicalmente. Non più contenuti prodotti da persone, ma contenuti creati da algoritmi che imitano le persone. La domanda non è se funziona, ma se la gente ci cascherà.

Il limite dei dieci secondi appare quasi ridicolo per chiunque voglia fare narrazione complessa, ma è perfetto per l’attenzione liquida del pubblico digitale. Troppo breve per annoiare, troppo lungo per essere un semplice meme, giusto per creare dipendenza. OpenAI gioca con i nostri tempi cognitivi, sapendo che lo scroll magnetico nasce dalla combinazione di frustrazione e attesa. E questo lo sanno bene a San Francisco.

Il nodo cruciale resta il copyright. L’azienda ha scelto un approccio da predatore: contenuti protetti utilizzati per default, salvo opt out dei titolari. Un’inversione logica che farà felici gli avvocati e preoccupare gli studios. Se Disney o Warner decideranno di non stare al gioco, potremmo assistere a un muro legale che trasformerà Sora 2 in un Vietnam giuridico. Eppure la strategia è chiara: spostare l’onere della prova su chi vuole proteggere i propri asset, guadagnando tempo e soprattutto dataset di allenamento. Un colpo da maestro o un suicidio legale? Dipenderà dalle corti.

Poi c’è il problema della fiducia. Un social basato solo su video generati rischia di diventare un luna park sintetico, privo di autenticità. Se tutto è artificiale, cosa ci spinge a restare? L’essere umano cerca storie, emozioni, identità. Se il volto che vedo è solo un avatar in stile deepfake, l’empatia si congela. Non è un caso che le piattaforme più longeve abbiano sempre fatto leva sulla condivisione reale di momenti di vita. OpenAI scommette invece sulla fascinazione dell’illusione, sperando che basti a reggere l’engagement.

Non dimentichiamo i bias. Le prime versioni di Sora hanno già mostrato inclinazioni sessiste, razziste e abiliste. I modelli generativi replicano le distorsioni culturali che trovano nei dataset, con buona pace dei principi etici sbandierati nei keynote. Immaginate un social globale che diffonde milioni di clip in cui stereotipi e distorsioni diventano intrattenimento. Un terreno fertile per critiche, boicottaggi e regolamentazioni stringenti.

Il confronto con TikTok è inevitabile ma fuorviante. TikTok ha dalla sua una base utenti gigantesca, un effetto rete insormontabile e una capacità di generare trend organici in tempo reale. OpenAI invece punta a un pubblico di pionieri digitali, prompt engineer travestiti da creativi, adolescenti annoiati e curiosi tecnologici. È un mercato diverso, più ristretto, ma potenzialmente esplosivo se l’esperimento prende piede. La vera domanda è se l’utente medio vuole davvero essere un direttore creativo di se stesso, o se preferisce ancora la comodità di una fotocamera e un ballo copiato male.

Gli scenari possibili oscillano tra due estremi. Da un lato, Sora 2 potrebbe diventare la nuova frontiera dei social, il luogo in cui l’AI diventa protagonista e l’utente spettatore-regista di un flusso senza fine. Dall’altro, potrebbe rivelarsi un fuoco di paglia, un’app troppo artificiale per durare, destinata a una nicchia di nerd entusiasti e poco più. In mezzo c’è la variabile più imprevedibile: la regolamentazione. L’Europa non vede di buon occhio l’uso massivo di contenuti protetti, e gli Stati Uniti stanno preparando norme sui deepfake e sull’identità digitale. Basta un voto parlamentare per trasformare Sora 2 in un progetto fantasma.

La vera sfida non è tecnologica ma culturale. Convincere milioni di persone che un video generato da AI valga quanto uno girato con un telefono è un salto cognitivo enorme. Chi ci riuscirà avrà in mano il nuovo petrolio digitale. Chi fallirà avrà solo sprecato GPU e capitale reputazionale. In ogni caso, la partita è aperta e, come sempre in Silicon Valley, vincerà chi saprà manipolare meglio la percezione collettiva. OpenAI ha deciso di provarci, e per ora l’unica certezza è che a perderci sarà ancora una volta la distinzione tra reale e artificiale.