C’è un dettaglio che fa sorridere: la fila davanti al Marina Bay Sands di Singapore, lunga centinaia di metri, sembrava l’ingresso di un concerto rock, non l’anticamera di un convegno sulla finanza digitale. Ma Token2049 non è mai stato un evento ordinario. Quest’anno lo è stato ancora meno. Venticinquemila partecipanti da oltre 160 paesi, forum paralleli, stand brulicanti di startup, un’aria da Woodstock della criptofinanza, con baracchini di caffè, musica dal vivo e persino una postazione per tatuaggi, come a dire che l’identità blockchain si incide sulla pelle.
Dentro, però, il messaggio è stato tutt’altro che hippie. L’edizione di quest’anno è stata una marcia trionfale per le stablecoin americane, trasformate da semplice strumento tecnico a veicolo geopolitico. Non bastava più parlare di adozione retail o di hedge fund in cerca di rendimento decorrelato. Ora l’argomento è l’egemonia del dollaro nell’era digitale.
Donald Trump Junior, con la sicurezza teatrale ereditata dal padre, è salito sul palco come frontman di una nuova era monetaria, presentando il progetto World Liberty Financial e il suo USD1, stablecoin ancorato ai titoli di stato americani. A detta sua, non solo il più rapido a crescere, ma anche la chiave per “mantenere l’egemonia del dollaro e l’America al centro del mondo”. Il tutto condito da un tocco di patriottismo che ha fatto scattare applausi in sala. Perché, ammettiamolo, se c’è un modo per reinventare l’egemonia monetaria americana nel secolo XXI, è proprio attraverso l’architettura digitale delle stablecoin.
Non si tratta solo di show. La presenza al convegno di figure istituzionali come Tim McCourt di CME Group o Heath Tarbert, ex presidente della Commodity Futures Trading Commission e oggi presidente di Circle, ha reso chiaro il messaggio: le stablecoin non sono più un giocattolo per nerd della blockchain. Sono diventate un asset strategico. Tarbert ha definito l’uso delle stablecoin “semplice come inviare un’email”, una frase che ha fatto sorridere i veterani della finanza tradizionale, abituati a bonifici internazionali che impiegano giorni e costano commissioni oscene.
Il paradosso è che questo slancio arriva proprio mentre la regolamentazione americana, per anni accusata di essere soffocante, ha virato verso un atteggiamento favorevole. L’amministrazione Trump ha dichiarato apertamente l’ambizione di fare degli Stati Uniti una “bitcoin superpower”. È la svolta che molti investitori attendevano, perché legittima l’ingresso di banche, fondi pensione e persino fondi sovrani nel mondo cripto. Hunter Horsley di Bitwise ha parlato di un triplo incremento nell’adozione istituzionale, non di una moda passeggera.
Ma Token2049 non è solo macrofinanza e retorica patriottica. Sul palco è salito anche Balaji Srinivasan, con la sua visione radicale di “crypto-identity” che sostituirà i passaporti, spingendo l’idea che gli stati-nazione siano ormai solo un bug temporaneo nel software della storia. Arthur Hayes ha condito il suo discorso con expletives degni di uno stand-up, celebrando la “liberazione” dalla gabbia dell’euro. E Tom Lee ha rilanciato la narrativa più provocatoria di tutte: Bitcoin supererà l’oro, Ethereum diventerà la piattaforma dominante del mercato finanziario USA, in un déjà vu che ricorda la fine del gold standard nel 1971.
Sullo sfondo, però, resta il nodo politico. Il fatto che USD1 sia promosso dal figlio del Presidente e che la famiglia Trump sia coinvolta direttamente nel venture ha sollevato più di una perplessità tra i democratici, che parlano di conflitti di interesse, ricordando come imprenditori asiatici legati a progetti discutibili abbiano già investito massicciamente in token associati al brand Trump. In un’epoca in cui il confine tra moneta e potere politico è sempre più sottile, il rischio che una stablecoin diventi arma diplomatica è più che teorico.
La competizione resta feroce. Tether domina il mercato con i suoi 172 miliardi di dollari, Circle con i suoi 74 miliardi non intende mollare, e nel frattempo nuovi operatori, dai giganti della finanza alle startup più aggressive, si muovono per conquistare fette di mercato. World Liberty Financial è un outsider, certo, ma con un’arma che gli altri non hanno: il sostegno esplicito della presidenza USA. Una spinta che potrebbe bastare per fare dell’USD1 il nuovo volto della dollarizzazione globale.
In un bar sulla spiaggia, la sera prima, tra barbecue e drink, i partecipanti discutevano liberamente di elusione dei controlli sui capitali cinesi e nuove strutture di trading offshore. È in questi spazi informali che si capisce come la retorica della libertà finanziaria si intrecci con la pratica del business borderline. Perché se il futuro del denaro è digitale, resta pur sempre plasmato dagli stessi impulsi di sempre: potere, influenza, sopravvivenza.
Token2049, con i suoi tattoo e i suoi forum paralleli, con il suo mix di istituzionali incravattati e cypherpunk in maglietta, è la rappresentazione perfetta di questa contraddizione. Non è più un evento di nicchia. È un palcoscenico globale in cui le stablecoin diventano armi geopolitiche, in cui l’adozione istituzionale è una mossa di scacchi e in cui il dollaro, lungi dall’essere messo da parte, si reinventa in chiave digitale per restare la valuta che detta le regole del gioco.
La sensazione, uscendo dal Marina Bay Sands, è che la rivoluzione crypto abbia smesso di chiedere permesso. Ora detta condizioni.