
Immagina un’intelligenza artificiale così avanzata da prendere il telefono e chiamare al tuo posto, come un assistente personale senza stipendio ma con una pazienza infinita. Google ha appena alzato l’asticella della comodità e della paranoia tecnologica, annunciando che la sua AI può ora effettuare chiamate reali per conto dell’utente. No, non è fantascienza da film di serie B, ma la nuova frontiera del “delegare” in salsa digitale, dove Siri e Alexa sembrano il telefonino di un bambino rispetto a un centrale telefonica automatizzata.
La funzione, non è più una promessa vaga ma una realtà che sta entrando nella routine quotidiana di chi usa Google Assistant. In pratica, puoi chiedere alla AI di prenotare un tavolo al ristorante, fissare un appuntamento dal parrucchiere o persino richiedere informazioni specifiche, lasciando che sia lei a gestire la conversazione con un operatore umano. Un’innovazione che da un lato ridefinisce il concetto di assistenza digitale, dall’altro alimenta dubbi inquietanti sul confine tra macchina e interazione umana autentica.
Non si tratta solo di risparmiare tempo o di semplificare la vita, ma di una svolta epocale nel modo in cui la tecnologia si insinua nelle relazioni sociali e commerciali. La AI di Google non solo parla, ma lo fa con intonazione naturale, inserendo pause, rispondendo alle domande e persino gestendo gli imprevisti senza scomporsi. Chi scrive ha sentito il dialogo: l’AI sembra un receptionist con una laurea in psicologia conversazionale, ma senza il difetto umano di annoiarsi dopo la centesima telefonata.
La portata di questo cambiamento travalica la semplice comodità, aprendo scenari inquietanti sul fronte della privacy, dell’etica e del potere di controllo. Chi garantisce che non si superino limiti non dichiarati? O che le chiamate non vengano usate per raccogliere dati non autorizzati? Google assicura trasparenza, ma il sospetto che stiamo cedendo sempre più parti della nostra vita a un algoritmo si fa strada in modo prepotente.
Nel frattempo, l’AI non si limita a fare telefonate. La stessa tecnologia alimenta ora Google Discover, la pagina che ti aggiorna sulle notizie più calde, riassumendole con intelligenza artificiale. Un modo elegante di trasformare il bombardamento informativo in una digestione più snella e calibrata, ma con il rischio di perdere quel filtro umano che sa selezionare con criterio e ironia ciò che davvero conta. Siamo di fronte a un futuro in cui le AI non solo ci informano, ma decidono cosa e come, trasformando il concetto di “giornalismo” in qualcosa di più simile a un algoritmo da sala macchine.
L’intreccio tra automazione e intelligenza artificiale prosegue, mentre la realtà quotidiana si riempie di robot che parlano, scrivono, ordinano, organizzano. Un sogno per i fanatici della produttività, un incubo per chi teme la disumanizzazione e la perdita di controllo. Nel frattempo, meglio tenere d’occhio il telefono: non si sa mai se a rispondere sarà il tuo assistente digitale o un umano in carne e ossa. Ma forse, la domanda giusta è un’altra: siamo sicuri che vogliamo ancora distinguere così nettamente tra i due?