Parliamo chiaro. Chi immaginava che la rivoluzione quantistica sarebbe partita da Bengaluru probabilmente non ha mai creduto alla Silicon Valley indiana. Eppure QpiAI, una startup che fino a cinque anni fa era solo un nome tra tanti nel labirinto delle deep tech emergenti, ora raccoglie 32 milioni di dollari con il benestare dello stesso governo indiano. Non è un’operazione da venture capital qualsiasi, è la mossa strategica di una nazione che ha capito che il futuro si gioca su qubit e intelligenza artificiale, non su banali app di food delivery. La National Quantum Mission, 750 milioni di dollari di budget e ambizioni degne di un manifesto geopolitico, non punta a qualche prototipo da conferenza accademica. Vuole 1.000 qubit fisici in otto anni, satelliti per comunicazioni quantistiche, reti multi-nodo e persino nuovi materiali topologici. Quando un Paese parla apertamente di magnetometri e superconduttori proprietari, non è solo ricerca, è un messaggio in codice a Washington e Pechino.
La parte più ironica? L’India, che fino a poco tempo fa era considerata solo una fabbrica di sviluppatori low-cost, oggi fa tremare giganti come IBM e Google con il suo primo full-stack quantistico, il QpiAI-Indus, 25 qubit superconduttori. Lo chiamano “full-stack” perché, a differenza di tanti competitor che si fermano all’hardware o al software, qui si parla di un ecosistema integrato. E la vera arma segreta non è solo il metallo superconduttore raffreddato a temperature criogeniche, ma l’uso dell’intelligenza artificiale per l’ottimizzazione dei qubit logici. Nagendra Nagaraja, fondatore e CEO, lo dice senza mezzi termini: “Quantum può rendere l’AI davvero robusta”. Tradotto, quando cominceremo a gestire migliaia di qubit e la correzione degli errori diventerà la vera sfida, sarà l’AI a decidere chi vivrà e chi morirà in quel mare di probabilità.
La narrativa ufficiale di QpiAI è affascinante e, per certi versi, inquietante. Si parla di simulazioni avanzate, sintesi di farmaci, scoperta di nuovi materiali. Chiunque lavori in finanza, pharma o trasporti sa che ottimizzare processi con AI è già un salto competitivo enorme, ma aggiungere un layer quantistico significa riscrivere le regole. Immaginate una supply chain che anticipa eventi con precisione quasi deterministica, o algoritmi finanziari che modellano rischi e volatilità in uno spazio probabilistico mai esplorato. È un altro pianeta. E non parliamo solo di teorie, perché QpiAI dichiara già margini lordi del 60% e una redditività EBITDA da tre anni. In un settore che brucia cassa come un reattore nucleare, questa è pura eresia. Eppure funziona.
Il piano è ambizioso al limite dell’arroganza: 64 qubit a novembre, clienti pronti entro il secondo trimestre 2026 e un obiettivo dichiarato di 100 qubit logici entro il 2030. Chi conosce il significato di “logico” in questo contesto capisce quanto sia difficile, perché non si tratta solo di aggiungere qubit fisici, ma di costruire un sistema realmente utilizzabile per calcoli complessi senza che il rumore distrugga i dati in pochi microsecondi. Nagaraja, con un sorriso che sembra un mix di sicurezza e provocazione, sostiene di avere già una corsia preferenziale verso questa meta, grazie all’integrazione stretta tra AI e correzione degli errori. Se è vero, QpiAI non sta solo correndo nella stessa gara di Google Sycamore o IBM Osprey, la sta ridisegnando.
C’è anche un sottotesto geopolitico che molti fingono di ignorare. La National Quantum Mission non è un programma di ricerca “aperto” come quelli europei. Qui il governo è un investitore diretto, co-leader del round insieme ad Avataar Ventures, e sceglie a chi dare fino a 3,5 milioni di dollari di grant iniziale. QpiAI è solo una delle otto startup selezionate, ma è chiaramente il cavallo da corsa del progetto. L’obiettivo è duplice: creare un’industria nazionale che produca hardware quantistico “made in India” entro il 2026 e piazzare queste aziende nei mercati globali, Singapore e Medio Oriente in primis. L’idea di esportare quantum hardware assemblato per l’80% in casa indiana è qualcosa che, se realizzata, metterebbe fine al pregiudizio secondo cui l’hardware avanzato resta monopolio di USA, Cina e un paio di laboratori europei.
Perché tutto questo rumore intorno a una startup che ha “solo” 25 qubit? Perché in un settore dove quasi tutti sono ancora in fase di sperimentazione e la maggior parte dei prototipi vive in ambienti universitari, QpiAI dichiara clienti reali, anche governativi, che testano algoritmi sulle sue macchine. E, dettaglio che pochi notano, è già profittevole. Un CEO che può dire di avere un runway di 3-4 anni senza bruciare cassa è un animale raro in questo zoo di promesse iperfinanziate. Certo, un IPO tra il 2026 e il 2027 è già nelle loro slide. Ed è qui che la faccenda diventa quasi comica: chi riuscirà prima a portare un quantum computer veramente utile sul mercato, una startup indiana o colossi con budget miliardari? Se la risposta è la prima opzione, qualcuno dovrà riscrivere i manuali di economia dell’innovazione.
In tutto questo, il vero punto di svolta è la convergenza AI-quantum. La maggior parte dei competitor tratta i due mondi come separati, mentre QpiAI li vede come due lati della stessa medaglia. “AI gioca un ruolo enorme quando integriamo migliaia di qubit per ottenere qubit logici corretti”, dice Nagaraja. Non è solo un claim di marketing, è un cambio di paradigma. Perché se l’AI diventa l’orchestratore delle operazioni quantistiche, il futuro dell’informatica non sarà più dominato da chi ha il processore più veloce, ma da chi possiede i dataset e gli algoritmi di ottimizzazione più sofisticati. E questo, cari lettori, è un gioco dove l’India parte con milioni di ingegneri già pronti e un esercito di talenti formati nelle migliori università globali.