Parliamoci chiaro, i 450 miliardi di dollari previsti da capgemini entro il 2028 non sono un numero buttato a caso in un report per fare scena, sono un segnale preciso. Segnale che chi oggi considera gli agenti di intelligenza artificiale un giocattolo evoluto rispetto a chatgpt o copilot rischia di restare fuori da un business che ridisegnerà intere catene del valore. Capgemini è stata brutale, e per una volta le grandi corporate farebbero bene a non ridurre tutto a un altro power point da appendere in sala riunioni.

Chi pensa ancora agli agent come a semplici bot conversazionali non ha capito la differenza tra un assistente generativo e un sistema agentico che agisce in autonomia entro un perimetro di business definito. È un concetto quasi banale per chi mastica intelligenza artificiale applicata, ma sembra ancora alieno alla maggior parte dei cda. Eppure parliamo di entità capaci di prendere decisioni, eseguire task complessi, orchestrare processi con altri agenti tramite protocolli come mcp e a2a. Non è questione di prompt più furbi, è architettura sistemica. Multi-agent orchestration, questo il termine che fa tremare i manager abituati a ragionare in silos.

Curioso come il report sottolinei un dato che dovrebbe fare riflettere, 14 per cento delle organizzazioni ha già in produzione agenti, il 23 per cento è in fase di test, il 61 per cento ancora esplora. Tradotto, i pionieri sono pochi e stanno correndo, gli altri guardano. E quando guardi troppo, arriva il momento in cui compri soluzioni chiavi in mano da salesforce o sap, perché costruire in casa non è più un’opzione. Non a caso la preferenza schiacciante va verso i provider esterni con modelli di pricing a consumo. Comfort zone travestita da strategia.

La scala a sei livelli di autonomia presentata è illuminante per chi ama le metriche. Livello zero, nessuna autonomia. Livello cinque, piena autonomia. Oggi quasi tutti stanno a livello uno o due, tradotto in linguaggio meno elegante, agenti che fanno poco più che suggerire e assistono. Ma la retorica del “ci arriveremo” ignora un punto fondamentale, cioè che i modelli organizzativi non sono pronti a reggere livelli alti di autonomia. Non si tratta solo di tecnologia, ma di mindset. Ed è proprio questo il grande non detto del report, le imprese ragionano ancora con una mentalità da scala industriale, quando qui serve pensiero modulare, quasi biologico.

I dati sulla fiducia sono un pugno nello stomaco. Dal 43 per cento nel 2024 al 27 per cento nel 2025. Crollo verticale. La narrativa della trasparenza, della governance etica e della mitigazione del bias rimane confinata nei white paper, mentre le divisioni legali bloccano deployment per paura di rischi reputazionali. Non sorprende che solo il 16 per cento dei casi d’uso enterprise abbia una strategia chiara. E intanto i decisori si lamentano della “scarsa maturità del mercato”, come se fosse colpa dell’ecosistema e non della loro paralisi culturale.

Capgemini, però, non si limita alla diagnosi e spinge su raccomandazioni che suonano quasi ovvie ma che pochi stanno applicando. Ridisegnare i workflow per integrare agenti non è un refactoring, è una riprogettazione radicale. Reskilling e governance etica non sono training annuali obbligatori, ma processi continui che devono diventare dna aziendale. Infrastruttura dati e deployment modulare non sono buzzword, sono prerequisiti per evitare che l’agente diventi solo un altro tool con cui giocare in sandbox.

Ci sono blocchi concreti che restano un tabù, e il report li elenca senza filtri, mancanza di trasparenza, bias algoritmico, infrastruttura insufficiente, rischi etici. Eppure l’ostacolo più grande è mentale. Si continua a ragionare come se l’agent fosse una risorsa da aggiungere a un team, quando in realtà è un nodo decisionale che può ribaltare le gerarchie interne. L’autonomia di un agente ben progettato non è un assistente più veloce, è una forza economica che sposta budget e ridefinisce ruoli.

“Le aziende stanno esplorando, ma pochi stanno davvero capendo come orchestrare” scrive capgemini. E qui sta il punto. Orchestrare significa accettare che un sistema agentico è più vicino a un organismo che a un software. Significa lasciare che interagisca con altri agenti, che apprenda, che sbagli. E questo spaventa più dei costi o della compliance. Il paradosso è che mentre ci si preoccupa dell’etica, si continua a delegare a partner esterni senza chiedersi quale reale controllo si