Il capitalismo familiare americano non è morto, ha solo cambiato palco. Se qualcuno nutriva dubbi, Larry Ellison sta per offrirci la prova definitiva che il potere non si eredita semplicemente, si costruisce con colpi di scena degni di una sceneggiatura di Aaron Sorkin. L’ultimo atto? La acquisizione Paramount da parte di Skydance, sostenuta dal miliardario fondatore di Oracle, con il placet della Federal Communications Commission. Un affare da 8 miliardi di dollari che verrà chiuso il 7 agosto, con David Ellison, rampollo e aspirante magnate, promosso a CEO della nuova, gigantesca Paramount Global. Nella lista dei regali di compleanno paterni, un impero televisivo e cinematografico non è esattamente il classico Rolex d’oro.

Chiunque conosca Larry Ellison sa che non si tratta di un gesto puramente filantropico. È strategia pura, travestita da paternalismo illuminato. “Aiutare un figlio a farsi strada” suona nobile, ma è un atto di chirurgia dinastica, un’operazione che mette la famiglia Ellison in prima linea nella battaglia per il futuro dei media americani. Una battaglia che nessuno, a Hollywood, sembra più in grado di vincere senza soldi della Silicon Valley. Il parallelo con Rupert Murdoch è inevitabile. Solo che Murdoch preferiva i talk show arrabbiati, Larry preferisce il glamour e, forse, un po’ di vendetta nei confronti di un’industria che lo ha sempre considerato un intruso.

Il problema, naturalmente, è che la Paramount non è un gioiello, è più un cimelio ingombrante. La sua esposizione ai canali via cavo in declino la rende un Titanic in cerca di nuovi motori. Anche la piattaforma Paramount+ fatica a tenere testa allo streaming selvaggio di Netflix e Disney+. Perché dunque un miliardario che possiede 282 miliardi di dollari in Oracle dovrebbe giocarsi, indirettamente, qualche miliardo per un’azienda che rischia di implodere? Perché i grandi miliardari amano le scommesse impossibili. È la loro versione del poker high-stakes.

Gli incroci padre-figlio rendono la trama irresistibile. I documenti alla FCC mostrano che, almeno all’inizio, Larry voleva il controllo. Poi ha fatto un passo indietro, lasciando a David tutti i voti della famiglia Ellison in Paramount. Poi ha cambiato di nuovo idea, recuperando il 35,5% dei voti. Nessun diritto di veto, certo, ma chi crede davvero che Larry Ellison, il più competitivo degli uomini competitivi, non tirerà qualche filo dietro le quinte? Non è un caso se qualcuno a Wall Street già scherza dicendo che la vera conference call trimestrale più attesa non sarà quella di Oracle, ma quella in cui padre e figlio reciteranno pubblicamente la parte di alleati.

I drammi famigliari a Hollywood sono vecchi quanto Hollywood stessa. La faida Redstone tra Sumner e Shari fu uno spettacolo patetico e insieme ipnotico. Rupert e James Murdoch si sono pugnalati metaforicamente per anni sulle prime pagine dei giornali. Gli Ellison sembrano più sofisticati, ma chi scommette che non ci sarà un momento in cui le telecamere cattureranno un David visibilmente frustrato e un Larry imperturbabile, pronto a ricordargli che “non è mai stato facile battere papà”?

C’è anche un retrogusto ironico in tutta questa storia. Megan Ellison, la figlia, è già passata per il tritacarne hollywoodiano con la sua Annapurna Pictures, e Larry ha dovuto salvarla economicamente. Una famiglia che continua a comprare e aggiustare pezzi di Hollywood sembra più un hobby che un business. Eppure qui c’è una differenza fondamentale. L’acquisizione di Paramount non è solo un capriccio familiare, è un segnale al mondo dei media. La Silicon Valley non si accontenta più di vendere tecnologia agli studios, ora vuole possedere la macchina dei sogni, manipolarne i contenuti e, perché no, riscrivere le regole del gioco.

Il vero punto è che questa operazione non riguarda solo Paramount. Riguarda Larry Ellison Paramount come nuova keyword del potere mediatico americano. Se l’operazione riuscirà, i media tradizionali saranno riscritti come un algoritmo. Se fallirà, il danno per gli Ellison sarà irrilevante sul piano finanziario, ma devastante sul piano dell’ego. E, come sa chiunque osservi il capitalismo americano, l’ego di un miliardario vale più di qualsiasi bilancio.

La domanda finale, quella che tutti fanno ma pochi osano scrivere, è brutale: Larry Ellison è davvero disposto a lasciare che Paramount diventi l’impero personale di David o si tratta solo di un esperimento controllato, un gioco in cui il vero regista resta lui? Perché in fondo, come scriveva un vecchio insider di Wall Street, “i miliardari non educano i figli, li testano”. E Paramount, con i suoi canali in declino e i suoi studi gloriosi, è il test perfetto. Un test che, comunque vada, trasforma una semplice acquisizione in una serie tv che persino Netflix vorrebbe produrre.