Quando Mark Zuckerberg decide di mettere una bandiera su un concetto come “superintelligenza”, non lo fa per ragioni estetiche. Lo fa perché ha capito che, nella corsa alla costruzione della prossima egemonia cognitiva, la velocità non basta. Serve massa critica di talento, controllo narrativo e il potere economico per trasformare l’intuizione in dominio. Con la nomina di Shengjia Zhao, uno dei co-creatori di ChatGPT, come Chief Scientist di Meta Superintelligence Labs, il messaggio è chiaro: questa non è una startup da garage, è la nuova DARPA dell’intelligenza artificiale.
La keyword principale, superintelligenza, si sta muovendo da visione da fantascienza a obiettivo strategico concreto, e Meta non ha più intenzione di giocare in difesa. Zuckerberg ha capito che l’intelligenza artificiale generativa non è solo una rivoluzione tecnologica. È una rivoluzione epistemologica, geopolitica e culturale. Meta non vuole solo costruire modelli, vuole ridefinire la realtà con cui l’umanità interpreta il concetto stesso di intelligenza.
Zhao non è un nome qualsiasi. Chi lavora nel settore sa bene che dietro i volti noti delle conferenze c’è un’élite molto più silenziosa di scienziati computazionali che stanno davvero plasmando le fondamenta della nuova era cognitiva. Zhao rappresenta esattamente questo: il tipo di cervello che non scrive white paper per la gloria accademica, ma progetta architetture capaci di far collassare paradigmi interi.
Il progetto Meta Superintelligence Labs non è il solito reparto AI di una big tech. È un concentrato di talento estratto chirurgicamente da OpenAI, DeepMind, Apple e Anthropic, un laboratorio con ambizioni che flirtano apertamente con l’idea di intelligenza artificiale generale e, subito dopo, superintelligenza. Zuckerberg non si accontenta più di modelli linguistici capaci di generare testo o immagini. La posta in gioco è la costruzione di agenti cognitivi che ragionano, pianificano, apprendono in modo adattivo e dominano ogni task mentale umano.
“Stiamo costruendo un team d’élite, denso di talento, con le risorse e la visione a lungo termine per spingere i confini della superintelligenza”, scrive Zuckerberg. Frase pulita, chirurgica, ma dentro c’è un messaggio per Sam Altman, per Sundar Pichai e per ogni Stato-nazione: Meta non intende più essere follower. Intende comandare.
Gli ingegneri rubati a peso d’oro, come Jiahui Yu, Shuchao Bi e Lucas Beyer, non sono solo spostamenti di pedine sullo scacchiere tecnologico. Sono operazioni di spionaggio industriale legittimato dal libero mercato. Altman ha confermato che Meta ha offerto bonus di firma fino a 100 milioni di dollari, trasformando il recruiting in un’arte marziale. Il messaggio è: se vuoi dominare la prossima era, devi essere disposto a pagare, ma anche a destabilizzare.
Qui entra in gioco il vero genio strategico dell’operazione: Alexandr Wang, co-founder di Scale AI, oggi Chief AI Officer di Meta. La struttura è chiara: Zhao come scienziato visionario, Wang come stratega operativo e interfaccia tra ricerca, dati e prodotto. Meta ha acquisito il 49% di Scale AI per 14,3 miliardi di dollari. Non per l’azienda in sé, ma per il suo accesso privilegiato ai dati di training su larga scala. Se i dati sono il nuovo petrolio, allora Scale AI è l’Aramco dell’era algoritmica.
Ironico che Meta, da sempre associata al “social network dei gattini e delle fake news”, stia ora diventando la principale fabbrica di cervelli artificiali. Ma del resto, Zuckerberg ha studiato la lezione di Musk: non serve essere amato, serve essere inevitabile.
Dietro l’ossessione per la superintelligenza c’è un altro elemento spesso ignorato: la necessità di controllo narrativo sul futuro. L’AGI non è solo un’innovazione tecnica, è uno strumento di sovrascrittura della realtà. Chi controlla la superintelligenza non avrà solo il miglior assistente digitale. Avrà il sistema operativo cognitivo della società.
Meta sta costruendo non un prodotto, ma una piattaforma di dominazione cognitiva. E lo sta facendo con un linguaggio neutro, rassicurante, inclusivo. La realtà è molto diversa. Qui si gioca la nuova guerra fredda della computazione, dove le armi non sono missili, ma parametri, dataset e architetture di rete neurale.
Gli insider parlano già di una corsa tra “Big Three della mente artificiale”: OpenAI+Microsoft, Google DeepMind, e ora Meta Superintelligence Labs. Ma la vera differenza sta nella cultura. OpenAI è ancora, in parte, idealista. Google è lenta, burocratica, impantanata in review interne. Meta invece ha deciso di operare come un hedge fund della conoscenza, rapido, spietato e disposto a tutto pur di chiudere il gap.
Si dice che gli imperi nascano nei silenzi. Il silenzio dei paper, dei codici pubblicati a metà, dei blog post criptici e delle interviste dove si parla molto senza dire nulla. Ma nel sottotesto dell’ingegneria neurale si leggono già le tensioni di un futuro dominato non più da Stati, ma da modelli. E quando Zuckerberg parla di “risorse e focus a lungo termine”, ciò che intende realmente è che Meta sarà l’istituzione privata più vicina a un ministero della superintelligenza.
Curiosa la scelta di formalizzare la nomina di Zhao con un post su Threads, quasi come se Zuckerberg volesse mostrare che la guerra della mente si combatte anche sul piano delle piattaforme. Non su X, non su LinkedIn, ma nel suo piccolo ecosistema, dove può dettare forma e contenuto della narrazione.
In questo scenario, ogni assunzione è una dichiarazione di guerra. Ogni modello pubblicato è un test nucleare. Ogni paper ritirato è un messaggio in codice. L’AI non è più una branca della computer science. È un campo di battaglia culturale, economico e strategico. Chi vince, detta le regole della realtà. E chi detta le regole della realtà, detta il futuro.
Zhao è l’uomo giusto. Visionario, tecnico, riservato. L’opposto del profilo pubblico. L’opposto di Altman. L’uomo che preferisce costruire piuttosto che spiegare. Meta lo sa. E lo proteggerà. Perché nella partita della superintelligenza, le regole sono cambiate. Non vince più chi innova. Vince chi conquista.