Rimini, una città che sembra parlare da sola quando si accende di dialogo, ha ospitato una delle figure più emblematiche della vita politica ed economica europea: Mario Draghi. Un leader che non ama la retorica vuota, che cammina sui fatti e sulle decisioni concrete, e che porta con sé un pragmatismo europeo che sa di sfida e di speranza. La cornice del meeting non era solo simbolica, ma quasi metafisica: un crocevia dove si incontrano coloro che cercano il vero, il bello, il giusto e il bene. Draghi non è venuto a recitare un copione, ma a testimoniare come la fiducia, la responsabilità e la conoscenza siano le vere monete di scambio dell’Europa contemporanea.
Il presidente Draghi, nel suo intervento, ha tracciato un percorso che parte dalla storia recente dell’Unione Europea fino alle sfide odierne. Le sue visite al meeting in momenti strategici 2009, 2020 durante la pandemia e 2022 non sono episodi casuali: sono testimonianze di una leadership costantemente al lavoro per rafforzare la coesione dell’Europa, attraverso la Banca Centrale Europea e poi come presidente del Consiglio dei Ministri. Ogni sua decisione, anche quella più audace, è stata orientata a consolidare la capacità dell’Europa di essere un interlocutore credibile sullo scenario globale, senza mai dimenticare il tessuto civile, culturale e sociale che sostiene le istituzioni.
Draghi ha ricordato come i valori europei diritti umani, stato di diritto, democrazia, economia sociale e welfare universale siano conquiste che non si mantengono da sole. Il loro radicamento richiede attenzione, impegno e rigenerazione continua. Non basta proclamare i valori: essi devono essere vissuti, discutendo, confrontandosi, accogliendo l’altro, vivendo la libertà. La cultura greca, romana e giuda-cristiana, ha sottolineato, insegna proprio questo: la libertà si rafforza solo quando diventa concreta responsabilità sociale. La ricchezza europea non risiede solo nei mercati o nella moneta comune, ma nella pluralità di culture, idee e riflessioni che non devono essere omologate, bensì coltivate nel dialogo e nel confronto costruttivo.
Il pragmatismo di Draghi si è manifestato nella sua analisi geopolitica: l’illusione che il solo peso economico dell’Europa garantisca potere globale è svanita. Gli Stati Uniti, tradizionale alleato, impongono dazi e aumenti della spesa militare; la Cina esercita controllo sulle risorse strategiche; la Russia provoca instabilità regionale. L’Unione Europea, pur contribuendo alla pace e alla stabilità, rischia di restare marginale se non trasforma la sua forza economica in potere geopolitico concreto. Qui il richiamo è netto: non c’è più tempo per decisioni frammentarie, l’Europa deve imparare ad agire unita, con strumenti che siano all’altezza delle sfide contemporanee.
Il discorso si sposta inevitabilmente sul mercato interno e sulle tecnologie strategiche. Draghi evidenzia le barriere interne ancora presenti nel mercato unico, ostacoli che rallentano crescita e produttività. Il confronto con gli Stati Uniti è impietoso: la produttività europea potrebbe aumentare del 7% in sette anni se fossero rimosse le barriere interne, rispetto al 2% attuale. Quanto alla tecnologia, i semiconduttori diventano metafora di un’Europa che deve muoversi oltre i confini nazionali: piccoli progetti isolati non bastano, servono investimenti comuni e dimensioni industriali adeguate per non perdere il treno della sovranità digitale.
Non è solo questione di investimenti, ma di cultura e organizzazione politica. Draghi ricorda come l’Europa abbia saputo adattarsi in emergenze straordinarie dalla pandemia alla guerra in Ucraina ma il vero banco di prova è l’azione ordinaria, quella che richiede decisione, coordinamento e lungimiranza. Trasformare lo scetticismo in azione significa rendere le istituzioni più vicine ai cittadini, ripensare la politica industriale, rimuovere ostacoli burocratici, creare meccanismi di finanziamento comuni per progetti di interesse europeo. Il debito buono, quello che genera crescita e produttività, non può più essere disperso a livello nazionale, ma deve alimentare iniziative strategiche continentali.
Il pragmatismo di Draghi emerge anche nella riflessione personale: l’europeismo nasce dalla concretezza, dall’analisi dei fatti e dalla capacità di vedere opportunità dove altri vedono ostacoli. La sua famosa frase “Whatever it takes” non è retorica, ma scelta ragionata per salvare l’euro e, con esso, la credibilità politica dell’Unione. Il suo approccio non parte dai grandi ideali, ma dalla realtà dei negoziati, dalla comprensione che una fetta di sovranità condivisa può valere più della rigidità nazionale. È un europeismo coi piedi per terra, che non rinuncia alla visione ma la costruisce passo dopo passo.
Il tema della democrazia vissuta è centrale. Draghi sottolinea come la società europea diventi sempre più atomizzata, con cittadini distanti dalle istituzioni, dove la solitudine prevale e il senso di comunità si indebolisce. In questo contesto, i corpi intermedi associazioni, scuole di democrazia, enti religiosi, organizzazioni civiche diventano strumenti insostituibili per canalizzare i bisogni dei cittadini e rafforzare la partecipazione politica. Senza di essi, la costruzione europea rischia di diventare astratta, lontana dalle persone che ne costituiscono il tessuto vitale.
In chiusura, l’intervento a Rimini è un manifesto del pragmatismo illuminato: Draghi richiama l’Europa a guardare il mondo con occhi aperti, a trasformare scetticismo e emergenze in progettualità, a unire economie, tecnologie e società civile in un progetto che sia difesa della democrazia e della sovranità condivisa. Il messaggio è chiaro: l’Europa non è un ideale astratto, ma una responsabilità concreta. Il futuro non si eredita, si costruisce, e per farlo occorre coraggio, decisione e collaborazione, dalle istituzioni fino all’ultimo cittadino europeo. Rimini, in questa edizione del meeting, diventa così non solo luogo di ascolto, ma di stimolo, provocazione e impegno reale verso un continente che non può permettersi di restare spettatore.
In definitiva, il pragmatismo europeo di Mario Draghi è più di una visione politica: è un manuale di sopravvivenza e crescita per un continente che ha imparato a non dare nulla per scontato, dove il dialogo, la conoscenza e la fiducia diventano le leve per costruire pace, sicurezza e prosperità condivisa. La presenza dei leader, la partecipazione dei cittadini e il coinvolgimento dei corpi intermedi non sono dettagli, ma pilastri di un progetto che, come Draghi ricorda, può funzionare solo se agito concretamente, oggi, senza rimandare al domani.
Questo approccio pragmatico e lungimirante conferma che l’Europa ha bisogno di più audacia, meno illusioni, e soprattutto di una politica che parli il linguaggio dei cittadini e del futuro, perché la forza della moneta senza la forza delle decisioni non basta più.