Demis Hassabis non è un qualsiasi CEO. È l’uomo dietro DeepMind, il laboratorio di intelligenza artificiale di Google che ha umiliato i campioni di Go e che oggi orchestra il futuro dell’AGI. Quando parla, il mondo tecnologico finge di ascoltare ma in realtà molti si limitano a twittare la citazione più facile. Eppure, nel suo ultimo intervento, Hassabis ha lasciato cadere alcune bombe che meritano più di un applauso automatico.
La prima riguarda la produttività. Non quella da manuale aziendale, ma quella vera, misurabile, cinica. Hassabis dice chiaramente che chi diventa nativo nell’uso dell’intelligenza artificiale nei prossimi cinque o dieci anni potrà moltiplicare la propria efficacia per dieci. Un decuplicatore umano, un super-manager con la potenza di calcolo nelle vene. Il che tradotto significa che se non impari oggi a orchestrare ChatGPT, Gemini o i modelli di frontiera, tra dieci anni sarai l’equivalente di un ragioniere che ancora compila moduli a mano. Ridicolo e irrilevante.
La seconda bomba riguarda la creatività. Per decenni ci hanno raccontato che le macchine non avrebbero mai saputo immaginare, che l’arte restava l’ultimo baluardo umano. Oggi Hassabis spiega il contrario. L’AI non solo assiste ma spinge oltre, crea ibridi che nessun cervello isolato saprebbe concepire. Non è un caso che i creativi che abbracciano gli algoritmi diventino dei mutanti iper-produttivi, capaci di sfornare campagne, design, prototipi a velocità che farebbero impallidire qualsiasi agenzia pubblicitaria old school. È il trionfo dell’AI generativa come leva competitiva, ed è un trionfo che non lascia prigionieri.
Poi c’è il mantra dell’immersione. Hassabis lo ripete come fosse una legge di sopravvivenza: se non tocchi, smonti, impari i modelli dall’interno, resterai sempre un turista digitale. Non basta usare i prompt prefabbricati, bisogna sporcarsi le mani con la meccanica dei sistemi, capire come orchestrare agenti, allenare modelli su dati proprietari, sfruttare le API per trasformare processi aziendali. L’arte del prompting diventa così l’arte della strategia. Chi si limita a guardare da lontano finirà come chi osservava le locomotive passare, convinto che i cavalli sarebbero bastati per sempre.
Il quadro che Hassabis delinea è quello di un’epoca d’oro. Non un’utopia, ma un boom senza precedenti di produttività e innovazione. L’età in cui l’AGI smette di essere teoria accademica per diventare arma geopolitica, motore economico e strumento creativo. Ma questa età dorata ha un dettaglio poco discusso: non sarà per tutti. Sarà selettiva, spietata, darwiniana. Chi abbraccia l’AI oggi sarà tra i vincitori. Gli altri, irrimediabilmente, diventeranno rumore di fondo.
Qui la provocazione finale. Hassabis non ti sta offrendo un consiglio motivazionale, ti sta dando un ultimatum. Preparati o sarai irrilevante. La domanda non è se l’intelligenza artificiale cambierà il tuo lavoro, ma se sarai tu a comandare la macchina o la macchina a rendere obsoleto il tuo talento. Il futuro non è più una narrazione da conferenza TED, è un algoritmo che ti guarda e misura quanto vali.