La Francia entra in una nuova stagione di incertezza dove i mercati non perdonano distrazioni politiche; il collasso del governo guidato da François Bayrou ha già lasciato tracce visibili sui titoli di Stato, trasformando quella che fino a ieri era una discussione domestica su tagli di bilancio in una questione di credibilità sovrana internazionale.
La caduta del governo è stata inequivocabile: il voto di sfiducia ha registrato 364 voti contro e 194 a favore, numeri che non lasciano spazio a interpretazioni tattiche. Il fallimento della manovra di austerità proposta da Bayrou ha rapidamente rivelato crepe profonde nella coalizione e ha spostato l’attenzione dei portafogli da metriche macroeconomiche a considerazioni politiche e di governance.
I rendimenti dei BTP francesi a dieci anni hanno reagito con prontezza: il rendimento dell’OAT a 10 anni si è mosso verso il 3,48% il 10 settembre 2025, avvicinandosi ai livelli dell’Italia e innescando paragoni scomodi per Parigi. In pratica, il mercato ha cominciato a prezzare un premio di rischio che riflette più l’instabilità politica che la solidità a medio termine dei fondamentali del debito francese.
La Francia deve fare i conti con una combinazione velenosa: un rapporto debito/PIL intorno al 114% e una fiducia parlamentare che vacilla, elementi che insieme spiegano perché gli spread si sono allargati nonostante il paese resti formalmente più solido di molte economie soggette a stigmatizzazione. Gli investitori guardano a due numeri in particolare: quanto costa rifinanziare il debito oggi e chi prenderà le redini del governo domani.
Il paradosso è palese: un paese con debito inferiore a quello italiano viene trattato come se fosse sullo stesso piano di rischio. Questo fenomeno non è una novità assoluta ma la velocità con cui i prezzi delle obbligazioni si sono adattati rivela quanto i mercati valutino la capacità di governo come una variabile critica nella gestione fiscale. Quando la fiducia politica si rompe, la leva di bilancio perde il suo potere calmante.
Il breve termine della crisi politica francese è, in ordine di importanza per i mercati, il nome del nuovo primo ministro, la capacità del successore di ottenere fiducia parlamentare e la forma del prossimo bilancio. Il presidente Emmanuel Macron ha ora il compito di trovare un profilo che non solo plachi i mercati ma che riesca a tessere alleanze in un’assemblea frammentata. Le opzioni politiche includono nomi interni al centrodestra, figure tecnocratiche o un ricorso a mani più forti che potrebbero però alimentare proteste di piazza.
Il mercato obbligazionario non perdona ritardi. Gli investitori istituzionali valutano la probabilità di una riforma credibile del bilancio e la capacità di contenerne il deficit. Quando le agenzie e i grandi gestori di asset iniziano a sussurrare la parola “warning” o a rivedere scenari di downgrade, il costo per la sterlina francese su base finanziaria cresce. Non si tratta solo di spread ma di un circolo vizioso in cui rendimenti più alti aumentano il costo del servizio del debito e peggiorano i fondamentali, giustificando ulteriore pressione dei mercati.
La geografia del rischio è cambiata: la Germania rimane il rifugio sicuro del blocco euro, ma la nuova normalità probabilmente sarà una maggiore volatilità nella curva dei rendimenti europea. Per un investitore con una visione multi-asset la questione è semplice e brutale: se la Francia entra nel novero dei paesi percepiti come politicamente instabili, allora i portafogli obbligazionari europei perdono la loro omogeneità e i costi di copertura salgono. Questo porta a scelte tattiche che possono accelerare la fuga verso asset percepiti come più sicuri. (Reuters, Trading Economics)
Sulla scena politica domestica, il collasso del governo Bayrou è anche una lezione di comunicazione politica: proporre tagli drastici e sforare il consenso parlamentare senza costruire consenso è politicamente suicida. Il rischio politico pesa ora come un moltiplicatore nello spread tra i titoli francesi e il Bund tedesco, mentre le opzioni istituzionali per Macron includono una nomina che punti sull’esperienza tecnica oppure una mossa più audace per riformare il quadro politico con nuove alleanze. Il compromesso resta però difficile in un’assemblea che sembra votare più per punire che per governare.
Dal punto di vista operativo dei mercati, attenzione ai segnali: volumi sui derivati, segni di copertura da parte delle grandi banche e commenti dei gestori indicano se il movimento è transitorio o l’inizio di una tendenza. Deutsche Bank, UBS e altri strategist hanno già posizionato i loro modelli per monitorare eventuali ricadute sistemiche e per capire se lo spread francotedesco continuerà a salire o se una rapida mossa politica potrà riportare la normalità. Questo non è un problema francese isolato; la stabilità finanziaria europea è interconnessa e un contagio di fiducia potrebbe infiammare periferie economiche più fragili.
Per chi prende decisioni di policy, la morale è amara ma chiara: i fondamentali macroeconomici restano importanti ma la governance è il nuovo fattore di rischio. Un paese con un rapporto debito/PIL relativamente alto ma con una classe politica credibile evita penalizzazioni maggiori. Quando la politica si decompone, il premio richiesto dagli investitori cresce e con esso il costo di una correzione fiscale che, paradossalmente, aveva lo scopo di rassicurare i mercati. Il risultato è spesso l’opposto di quello voluto.
Una curiosità per gli osservatori: storicamente gli spread si allargano non solo per il peggioramento dei fondamentali ma anche per un cambiamento nella percezione della capacità politica di gestirli. A volte basta una votazione simbolica per spostare il prezzo di molte obbligazioni. Chi segue i mercati da decenni sa che la narrativa conta quanto i numeri; la fiducia è una valuta che si svaluta in fretta. Questa volta la narrativa ha trovato un catalizzatore facile da memorizzare, e i numeri hanno seguito.
Per l’investitore istituzionale la domanda cruciale oggi è quale scenario scommettere: nominare un primo ministro tecnocratico capace di recuperare fiducia sui mercati o cercare di ricostruire una coalizione politica più ampia a rischio di compromessi che deluderebbero gli stessi investitori. Entrambe le scelte hanno costi e benefici, e il mercato, come sempre, sconta il percorso che sembra più probabile in base ai tempi e agli annunci politici.
La Francia ha scelto il rischio politico anziché il consenso per risolvere il problema del debito. La reazione dei mercati è stata pronta e riflette una logica: la gestione macro è tanto buona quanto la capacità di farla passare in Parlamento. Per Macron l’orologio politico è scattato, e la prossima serie di mosse determinerà se la Francia tornerà a essere il pilastro stabile dell’eurozona o se subirà un periodo di volatilità prolungata che avrà costi reali per le finanze pubbliche e per l’economia reale.