Google ha deciso che l’ideazione visiva non è più un’esclusiva dei designer. Con Mixboard, l’ultimo esperimento di Google Labs, la multinazionale americana porta l’intelligenza artificiale nel cuore del processo creativo. Uno strumento che consente di generare moodboard partendo da template preimpostati o da prompt testuali, con il supporto del modello Gemini 2.5 Flash, ribattezzato con ironia “nano banana” dagli stessi ingegneri per le sue capacità di editing e fusione delle immagini.

In apparenza è solo un canvas digitale, in realtà è un test di mercato per capire se siamo pronti a dialogare con un algoritmo come se fosse un art director.

Il funzionamento appare semplice. L’utente può scrivere “voglio un set di piatti e tazze in stile Memphis” o “organizza una festa autunnale nel mio salotto” e vedere apparire una composizione visiva in tempo reale. Ma la parte più intrigante è la possibilità di modificare i contenuti già generati con comandi naturali. Chiedi più astratto, più autunnale, più minimale, e l’IA rielabora il moodboard con varianti coerenti. Un approccio che trasforma la creazione visiva da gesto manuale a conversazione, abbattendo la barriera tra competenza tecnica e intuizione estetica.

Dietro il sipario c’è Gemini 2.5 Flash, un modello che non si limita a generare immagini statiche. Offre editing locale, unione di più elementi, coerenza visiva tra soggetti replicati e la capacità di mantenere uno stile uniforme. In pratica, se vuoi creare un personaggio e declinarlo in dieci pose diverse, il modello garantisce continuità grafica.

Google ha integrato anche la tecnologia SynthID, una filigrana digitale invisibile che certifica la natura artificiale dei contenuti, un tentativo di frenare le accuse di plagio e deepfake che ormai accompagnano ogni evoluzione generativa.

Chi lavora nel design visivo non può ignorare il parallelo con strumenti già noti come FigJam o Adobe Firefly Boards. La differenza non sta nell’interfaccia, che resta quella di un canvas condiviso, ma nel motore conversazionale. Google punta a ribaltare il paradigma: meno drag-and-drop, più “dimmi cosa vuoi vedere e io lo creo”. Una promessa allettante per startup, agenzie di branding, interior designer, organizzatori di eventi che hanno bisogno di prototipi rapidi senza passare da lunghe sessioni di sketching manuale.

La disponibilità per ora è limitata agli Stati Uniti, in beta pubblica, e non ci sono date ufficiali per il rollout in Europa. Una strategia prudente che permette a Google di osservare come reagisce l’utenza senza rischiare un lancio globale prematuro.

Inutile negarlo: la vera partita si gioca contro Pinterest, Canva, Figma e Adobe, già posizionati nel mercato della creazione visiva collaborativa. Google non inventa il moodboard digitale, ma scommette che l’innesto dell’IA lo renda irresistibile.Le critiche però arrivano puntuali.

Alcuni osservatori sottolineano il rischio di appiattimento stilistico: se tutti usano lo stesso modello, il risultato sarà una marea di immagini simili, prive di reale originalità. Altri mettono in guardia sul fronte legale, perché resta incerta la questione dei diritti d’autore sulle immagini derivate da dataset sconosciuti. In ambito aziendale questa ambiguità può diventare un ostacolo serio, soprattutto per chi deve presentare contenuti a clienti o investitori con sensibilità al copyright.

Il punto più provocatorio è che Mixboard mette in discussione il ruolo stesso del creativo. Quando un algoritmo diventa in grado di generare, correggere e affinare varianti su richiesta, che spazio rimane al talento umano? Forse la risposta non è nella sostituzione, ma nella capacità di dirigere l’IA come un’orchestra. Il creativo diventa regista, non più esecutore. Ma serve lucidità: l’IA è addestrata su estetiche passate, non su idee future. Il rischio di omologazione è reale, e la differenza la farà chi saprà sovrapporre una visione originale alle proposte standard del modello.

Per i leader aziendali il messaggio è chiaro. Mixboard non è un giocattolo, è un laboratorio strategico. Integrare questo tipo di strumenti nei processi di concepting e prototipazione significa guadagnare velocità e abbattere i costi. Ma significa anche accettare che l’algoritmo diventi un interlocutore nei processi creativi. Non più “dammi un file Photoshop”, ma “mostrami come potrebbe essere se…” e attendere che la macchina risponda. È un cambio culturale che premierà chi ha la visione di sfruttarlo come acceleratore, non come stampella.Google ha gettato un sasso nello stagno e ora osserva le onde. Mixboard è un canvas parlante che offre infinite varianti, ma anche un test psicologico su quanto siamo pronti a delegare la costruzione dell’immaginario estetico a un modello matematico. Nel migliore dei casi diventerà un alleato creativo capace di accelerare la fase di ideazione. Nel peggiore sarà solo l’ennesimo generatore di immagini patinate, utili per scroll veloci e poco più. L’unica certezza è che il confine tra creatività umana e artificiale diventa ogni giorno più sottile, e con Mixboard Google ha deciso di accelerare il processo.