La Cina non gioca più in difesa. Xiaomi ha deciso che l’era delle mezze misure è finita e con il lancio della serie 17 lo ha dimostrato con un gesto teatrale: saltare direttamente dalla generazione 15 alla 17, come se la 16 non fosse mai esistita. Una scelta che suona quasi come un dispetto a Cupertino, arrivata appena due settimane prima con i suoi iPhone 17 e convinta che il palcoscenico globale le appartenesse di diritto.

Il messaggio di Lei Jun è chiaro: non si tratta di rincorrere Apple ma di scavalcarla con una narrativa più aggressiva. La nuova serie è costruita intorno al processore Qualcomm Snapdragon 8 Elite Gen 5, il cuore di un dispositivo che vuole trasformare lo smartphone premium in un laboratorio di potenza e design ultrasottile. Il CEO non ha resistito al tocco estetico e alla collaborazione con Leica, perché in un’epoca in cui le fotocamere valgono più dei telefoni stessi, l’ottica tedesca serve come certificato di autenticità. La promessa è una resa fotografica in controluce che ridicolizza i sensori ordinari e spinge la battaglia del comparto imaging verso territori che un tempo sembravano appannaggio esclusivo degli iPhone Pro.

Non è più la Xiaomi da 200 euro che faceva felici gli studenti universitari. I prezzi parlano chiaro: 4.499 yuan per il modello base, 4.999 per il Pro e 5.999 per il Pro Max. Tutti oltre la soglia psicologica dei 600 dollari, che secondo Counterpoint Research definisce il segmento premium. L’azienda di Pechino sta cercando di occupare quel territorio dove la fedeltà al brand è cieca e dove si gioca la partita più redditizia dell’intera industria. La differenza è che Xiaomi, a differenza di Apple, spinge verso il basso le caratteristiche avanzate, democratizzandole persino nei modelli entry del segmento alto. Una strategia che ricorda un vecchio trucco di mercato: rendere accessibile ciò che altrove viene presentato come esclusivo.

Molti osservatori hanno sorriso di fronte al salto numerico da 15 a 17, leggendo l’operazione come un tentativo di agganciarsi alla narrativa Apple. Lu Weibing, presidente della divisione smartphone, ha invece ribaltato la questione parlando di miglioramenti talmente radicali da giustificare l’eliminazione di un’intera generazione. Sembra un gesto di hybris tecnologica, ma serve a creare l’impressione di una rottura con il passato e a posizionare Xiaomi come l’unico player capace di riscrivere le regole del gioco senza chiedere permesso.

Il tempismo non è casuale. Nel primo semestre 2025 il mercato smartphone globale è cresciuto del 4 per cento, ma il segmento premium ha fatto il doppio, arrivando a +8 per cento. In questo contesto Xiaomi ha registrato un incremento delle spedizioni high-end del 55 per cento, superata solo da Google, che però parte da una base molto più ridotta. Il dato evidenzia come la partita del futuro non sarà vendere milioni di entry level in mercati emergenti, ma conquistare i consumatori disposti a pagare cifre alte per un dispositivo che è più status symbol che strumento di lavoro.

La narrativa si complica quando si guarda oltre lo smartphone. Xiaomi non vende soltanto telefoni ma un ecosistema che va dai purificatori d’aria alle auto elettriche. Questa strategia, spesso sottovalutata in Occidente, permette di consolidare la fedeltà del cliente in un modo che Apple ha reso celebre con i suoi AirPods e i suoi MacBook, ma su scala molto più ampia e capillare. Il risultato è che un acquirente di un Xiaomi 17 Pro Max potrebbe già possedere un frigorifero del marchio o una scopa elettrica collegata allo stesso account. È un intreccio di hardware e servizi che rende difficile abbandonare il recinto, una gabbia dorata costruita con intelligenza artificiale e prezzi aggressivi.

Apple rimane l’avversario naturale. I nuovi iPhone 17 hanno registrato ottimi numeri di prevendite in Cina, nonostante l’assenza di Apple Intelligence per motivi regolatori. Cupertino gioca ancora sulla forza del marchio e sulla potenza della distribuzione globale, ma il ritmo con cui Xiaomi sta rosicchiando spazio nel segmento premium non è trascurabile. La battaglia si gioca su due livelli: da un lato l’immagine aspirazionale di Apple, dall’altro la capacità di Xiaomi di portare innovazioni tangibili, soprattutto nel comparto fotografico, a prezzi più competitivi.

È interessante notare come il linguaggio delle due aziende tradisca strategie opposte. Apple parla di esperienza utente e continuità dell’ecosistema, mentre Xiaomi insiste sul salto generazionale, sulla tecnologia ottica, sull’hardware che supera i limiti fisici. È una contrapposizione di stile e di sostanza, quasi un duello culturale. Dove Apple sussurra “fidati di me”, Xiaomi urla “guardami mentre reinvento tutto”. Nel mezzo ci sono consumatori globali sempre più consapevoli che il vero campo di battaglia è la capacità di coniugare intelligenza artificiale, estetica e prestazioni.

Se il mercato premium continua a crescere al ritmo attuale, la domanda non sarà più se Xiaomi può competere con Apple, ma quanto velocemente potrà sottrarle fette di mercato. La provocazione finale arriva dai numeri: se oggi un telefono sopra i 600 dollari è la nuova normalità, la distinzione tra high-end e mainstream sta diventando un confine sempre più labile. E quando i confini si sfumano, chi osa saltare un’intera generazione numerica spesso finisce per riscrivere la mappa.