Apple ha deciso di entrare nel ring dell’AI conversazionale con la cautela di un pugile esperto, evitando mosse troppo azzardate. Secondo un recente rapporto di Bloomberg, l’azienda sta testando internamente un’app simile a ChatGPT per valutare le funzionalità della prossima generazione di Siri. Il progetto non è destinato al pubblico, almeno per ora. L’idea non è tanto lanciare un concorrente diretto di ChatGPT, quanto creare un laboratorio pratico dove i dipendenti possano interagire con le nuove funzioni, capire cosa funziona e cosa no, e raccogliere feedback preziosi prima del rollout ufficiale.
Il prototipo permette di gestire conversazioni multiple su temi diversi, ricordare chat precedenti e seguire conversazioni più lunghe, caratteristiche tipiche dei chatbot più evoluti. Questo indica che Apple sta pensando seriamente a come rendere Siri più “umana” e meno vincolata a risposte predeterminate. Il tema del contesto personale sembra al centro della strategia: Siri non sarà un semplice bot da richiamare con comandi isolati, ma un assistente integrato nella vita digitale degli utenti, come ha spiegato Craig Federighi a WWDC. Il concetto di “bolt-on chatbot” viene rigettato: l’AI deve essere invisibile, ovunque e da subito utile.
Al contempo Apple sta sviluppando due versioni parallele del sistema: una basata su modelli AI proprietari e un’altra che sfrutta tecnologie esterne, tra cui Google. Questo approccio ibrido sembra una mossa di prudenza industriale e sperimentale, per capire quali modelli offrono la migliore combinazione di accuratezza e contestualità. L’obiettivo interno è di lanciare il nuovo Siri entro la primavera prossima, accompagnato da una nuova iniziativa chiamata “Answers”, pensata per creare un’esperienza di ricerca simile a ChatGPT ma ottimizzata dall’AI interna di Apple.
La domanda chiave è se Apple dovrebbe rilasciare un’app standalone di tipo ChatGPT. Il rischio, evidente anche a Cupertino, è che un chatbot separato possa sminuire il brand Siri, trasformandolo in un servizio accessorio anziché centrale. Integrare le stesse capacità direttamente nell’interfaccia Siri permette di controllare l’esperienza, garantire privacy e coerenza, e mantenere la narrativa di un AI onnipresente ma discreta. L’utente non si trova davanti a un nuovo software da capire, ma a un assistente che evolve con lui.
Ironia della sorte: mentre tutti inseguono la corsa al chatbot universale, Apple sembra puntare al contrario, alla sottilità, alla percezione che l’AI sia già parte della nostra vita quotidiana senza che ce ne accorgiamo. Curiosità interessante: l’azienda sta usando internamente l’app per testare anche la “memoria” delle conversazioni, una funzione che può rendere Siri più proattiva e contestuale, anticipando bisogni senza sembrare invadente. Non è fantascienza, è il tipico pragmatismo Apple: sperimentare in segreto, affinare e poi sorprendere il mercato.
Dal punto di vista SEO, la keyword principale potrebbe essere “Apple Siri AI”, con correlate “chatbot conversazionale”, “ChatGPT alternativa” e “AI integrata Apple”. L’articolo mescola tensione tecnologica e strategia industriale: Siri non è più solo un assistente vocale, ma un laboratorio vivo di AI. Le scelte interne di Apple evidenziano una visione molto più sofisticata della semplice risposta a comandi vocali, puntando a un ecosistema dove ogni azione dell’utente può essere supportata dall’AI senza interrompere il flusso naturale.
La provocazione finale resta sulla filosofia dell’interazione: Siri evolve, ma il mondo reale è ancora scettico verso l’adozione dei chatbot standalone. La decisione di non lanciare un’app pubblica potrebbe rivelarsi vincente, mostrando come l’integrazione discreta e contestuale batta la spettacolarità superficiale. Apple gioca a lungo termine, sfidando le startup e le aziende tech che puntano tutto sull’effetto wow immediato. La domanda rimane aperta: riusciranno a convincere gli utenti che un AI onnipresente, silenziosa e intelligente vale più di un chatbot appariscente ma isolato?