L’elezione di Papa Leo XIV ha scatenato un’onda di entusiasmo che somiglia più a una campagna di marketing ben orchestrata che a un atto di fede consapevole. I numeri parlano chiaro: l’84% dei cattolici americani dichiara di avere una visione favorevole del nuovo pontefice, ma il 67% ammette candidamente di sapere solo “un po’” di lui e un altro 25% confessa di non saperne assolutamente nulla. È la dimostrazione più plastica che il brand “papa” funziona a prescindere dal prodotto, una dinamica degna delle migliori multinazionali che vendono sogni confezionati con il logo in bella vista. La Chiesa cattolica, almeno sul piano comunicativo, si conferma la più antica startup di successo del pianeta.
Questa schizofrenia statistica racconta molto più dei sondaggi politici che riempiono i notiziari americani. L’istituzione papale è ancora capace di esercitare un fascino quasi ipnotico, al di là dei contenuti concreti. Non è un caso che il Pew Research Center abbia trovato analogie sorprendenti con l’inizio del pontificato di Francesco: stessa quota favorevole, stesso livello di entusiasmo cieco. La differenza è che Francesco arrivava dall’Argentina, mentre Leo XIV è il primo pontefice nato negli Stati Uniti. Qui si apre un paradosso. Solo il 36% dei cattolici americani si dice “molto o estremamente entusiasta” di avere finalmente un papa made in USA. Un altro 40% risponde con un tiepido “abbastanza” e il restante 22% taglia corto con un secco “non troppo”. È come se l’America fosse pronta a esportare religione come esporta tecnologia, ma senza la stessa voglia di celebrarsi. Silicon Valley batte San Pietro, almeno sul terreno dell’orgoglio nazionale.
Il dato più interessante, però, riguarda le aspettative. Il 52% dei cattolici americani non sa se Leo sarà simile o diverso da Francesco. Tradotto: non hanno idea di chi sia e non si sono nemmeno presi la briga di inventarsi un’opinione. Il 33% prevede che sarà “abbastanza simile” al predecessore, mentre un esiguo 13% immagina una rottura. In altre parole, il futuro della Chiesa cattolica viene letto come il sequel di una serie televisiva che non entusiasma più nessuno, ma che tutti continuano a guardare perché non sanno cos’altro mettere in streaming. Il pontefice come franchise.
Naturalmente, il dato cambia se si guarda a chi ancora prende sul serio la pratica religiosa. I cattolici che vanno a Messa ogni settimana sono molto più entusiasti: il 95% dice di vedere positivamente Papa Leo XIV, rispetto all’84% di chi ci va saltuariamente e al 77% dei cattolici che non ci mettono piede quasi mai. Qui l’effetto è chiaro. Chi consuma più spesso il “prodotto Chiesa” tende ad avere un legame più emotivo con il nuovo amministratore delegato del marchio globale. Eppure anche i fedelissimi rivelano la stessa ignoranza degli altri: il 75% di loro ammette di sapere solo un po’ del nuovo papa e un altro 11% confessa di non saperne nulla. È come acquistare l’ultimo iPhone senza leggere nemmeno la scheda tecnica. Si chiama fidelizzazione, e funziona.
Il terreno politico, come sempre negli Stati Uniti, aggiunge una nota ironica. I cattolici democratici sono allineati all’89% con giudizi positivi, i repubblicani seguono con l’84%. A prima vista un’unità commovente. Ma scavando emergono le solite fratture partigiane. I democratici vedono in Leo una continuità con Francesco e la considerano un fatto positivo. I repubblicani invece accolgono con entusiasmo la prospettiva che Leo sia diverso, nella speranza che segni un’inversione rispetto a un Francesco percepito come troppo progressista. Qui la religione diventa specchio della politica, e non il contrario. La figura papale smette di essere guida spirituale e si trasforma in proiezione dei desideri contrapposti della base elettorale. Per i democratici il papa è un simbolo di inclusione, per i repubblicani un’occasione di riscatto conservatore. Tutto tranne che un pastore universale.
Fuori dal recinto cattolico, il fenomeno è ancora più affascinante. Il 56% dei non cattolici americani esprime un giudizio favorevole su Papa Leo XIV, pur non avendo la minima idea di chi sia. Ben il 31% non lo ha nemmeno mai sentito nominare. È la prova definitiva che la popolarità del papa è un concetto a sé stante, una reputazione collettiva che non ha bisogno di fatti concreti per esistere. È il potere del marchio, ancora una volta. Se Apple può vendere un caricabatterie separato e far credere che sia sostenibilità, la Chiesa cattolica può proporre un pontefice sconosciuto e ottenere gradimento trasversale.
Le statistiche, prese nel loro insieme, raccontano un quadro che i consulenti politici e i chief marketing officer dovrebbero studiare con attenzione. Papa Leo XIV è simultaneamente il leader più popolare e il meno conosciuto degli Stati Uniti. È il prodotto di un’operazione millenaria che combina ritualità, potere simbolico e una sapiente gestione della scarsità di informazioni. La gente non sa nulla di lui, ma forse proprio questo è il segreto. Nel vuoto di conoscenza si proiettano speranze, illusioni e nostalgie. È la logica della disruption applicata alla religione: meno contenuto, più immaginazione.
Non mancano contraddizioni comiche. I cattolici americani, quando interrogati, parlano di Leo come se fosse un personaggio che hanno appena incontrato in una serie televisiva e sul quale non si sentono ancora pronti a giudicare. È una risposta perfetta per il mercato dell’attenzione, dove la curiosità conta più della certezza. L’importante è che il pubblico resti collegato, che aspetti la prossima stagione. La Chiesa cattolica, senza bisogno di algoritmi di TikTok o campagne di retargeting su Google Ads, mantiene così la sua capacità di catturare gli occhi e soprattutto le coscienze.
Il confronto con i predecessori chiude il cerchio. Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco: ognuno con i suoi picchi di popolarità e con la sua curva discendente. Leo XIV comincia al livello massimo, come da copione. La vera domanda è se saprà mantenere questo capitale di fiducia quando i fedeli scopriranno chi è davvero. Se la storia recente insegna qualcosa, la curva non potrà che scendere. Ma in un’epoca in cui tutto è misurato in share, like e sentiment analysis, forse nemmeno questo importa. Il papa non deve convincere nel merito, deve restare simbolo. La sostanza, nel mondo digitale, è sempre secondaria.
Alla fine resta una verità scomoda per i cattolici americani: la popolarità di Papa Leo XIV è un gigantesco test di quanto la religione si sia trasformata in un fenomeno di percezione collettiva, più vicino alla logica di un brand globale che alla spiritualità. È il trionfo del marketing applicato alla fede, dove ciò che conta non è sapere, ma credere di sapere. E questo, per la Chiesa cattolica, è il più grande miracolo degli ultimi duemila anni.
Qui L’analisi: https://pewrsr.ch/4mcz6SI