In Italia anche l’intelligenza artificiale fa la fila, aspetta il suo turno, e spesso si ritrova in mano a funzionari che confondono una GPU con un acronimo del catasto. La recente indagine dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) suona come una radiografia dell’ennesima rivoluzione digitale annunciata, ma mai del tutto compresa. Titolo dell’operazione: “L’intelligenza Artificiale nella Pubblica Amministrazione”. Dietro la neutralità statistica dell’inchiesta, si cela una PA che tenta di aggrapparsi alla corrente dell’innovazione mentre arranca con zavorre fatte di burocrazia, consulenze esterne e KPI vaghi come le promesse elettorali.
Il censimento dei progetti IA ha coinvolto 108 organizzazioni pubbliche su 142 contattate, con 120 iniziative tracciate. Numeri apparentemente incoraggianti, che però si sgretolano sotto la lente di chi osserva il panorama non come un ottimista tecnologico, ma come un chirurgo delle inefficienze digitali. Solo 45 enti hanno davvero avviato progetti. Gli altri? Presumibilmente ancora impantanati nei comitati di valutazione, nei verbali, nelle richieste di pareri legali e nei flussi autorizzativi che scoraggerebbero persino una macchina a stati finiti.