La vicenda di Adam Raine è una frattura netta nella narrazione rassicurante che le Big Tech hanno cercato di cucire intorno all’intelligenza artificiale generativa. Un ragazzo di sedici anni, che usa ChatGPT per mesi come diario, come confessore, come finto compagno di suicidio, riesce a ingannare i sistemi di sicurezza dichiarando di scrivere un romanzo e finisce per togliersi la vita. Ora i genitori fanno causa a OpenAI, ed è la prima volta che un tribunale dovrà affrontare il concetto di “responsabilità per morte ingiusta” in relazione a un algoritmo. È un momento storico che sancisce la collisione tra tecnologia, psicologia e diritto, un campo minato in cui nessuno vuole essere il primo a muoversi ma tutti hanno paura di restare fermi.