La prossima volta che un manager ti dice che un LLM “ha allucinato”, fermalo. Non perché ha torto. Ma perché ha ragione. Troppa. E non lo sa. Quello che chiamiamo hallucination AI non è un incidente di percorso. È un sintomo. Ma non di un bug. Di una condizione esistenziale. Di un teorema. L’inevitabilità dell’allucinazione nei Large Language Models non è più solo un sospetto empirico. È un fatto matematico. Formalizzato. Dimostrato. E ignorato, ovviamente, da chi firma contratti per metterli in produzione.
La tassonomia delle allucinazioni nei LLM è il nuovo DSM-5 della patologia algoritmica. Una classificazione psichiatrica per modelli linguistici. Fatti non per ragionare, ma per prevedere la prossima parola come un croupier ubriaco lancia fiches su un tavolo di roulette semantica. Il documento che analizza questa tassonomia è un trattato di chirurgia computazionale, freddo, elegante, terrificante e per chi lavora con questi modelli, semplicemente obbligatorio.