In un angolo buio delle architetture cloud, là dove le CPU sussurrano segreti e le GPU si trastullano con petabyte di dati, esiste un’entità di cui nessuno parla: l’inference provider. È l’anima silente dei servizi AI, la colonna sonora non registrata del grande spettacolo dell’intelligenza artificiale. Eppure, non troverete articoli in prima pagina, né conferenze che osino mettere sotto i riflettori questi demiurghi dell’inferenza.

Ha dell’assurdo: i modelli di inferenza stanno diventando la linfa vitale di ogni applicazione smart, dall’analisi predittiva al riconoscimento vocale. Eppure, restano in ombra, considerati “commodity” o “eri low level” da marketer in cerca di titoli roboanti. Come se parlare di inference provider fosse banalizzare l’AI, ridurla a una scatola nera senza fascino.