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La silicon valley ha perso la voce e adesso cerca un profeta in affitto


ovvero come la tech élite sta disperatamente cercando un redento da esibire in pubblico mentre affonda nella sua stessa mitologia

Quando inizia a girare nei corridoi di Sand Hill Road la voce che serva “un JD Vance della Silicon Valley”, il primo pensiero non è tanto la nostalgia per l’Ohio rurale quanto il panico esistenziale di una classe dirigente che, dopo aver glorificato l’ingegnere asociale e la cultura del blitzscaling, si ritrova culturalmente orfana. JD Vance, per chi avesse trascorso l’ultimo decennio chiuso in una capsula criogenica, è l’autore di Hillbilly Elegy, una specie di epitaffio narrativo per la working class bianca americana, riconvertitosi in politico trumpiano come da manuale post-apocalittico. Silicon Valley vorrebbe un personaggio così, ma in chiave tech. Un redento. Uno che venga dal fango ma mastichi JavaScript.

Bitcoin come arma strategica: se Pechino la odia, Washington dovrebbe amarla

Là dove l’Impero Celeste chiude le porte, l’Impero dell’Ovest dovrebbe spalancarle. Non per amore della libertà — concetto vago e flessibile, soprattutto quando si parla di politica monetaria — ma per strategia, dominio tecnologico e quel sottile desiderio di mettere i bastoni tra le ruote a Xi Jinping. Così ha parlato il vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance alla Bitcoin Conference di Las Vegas, senza troppi giri di parole: “La Cina odia Bitcoin. Noi, quindi, dovremmo abbracciarlo.”

Un pensiero semplice, quasi infantile nella sua linearità, eppure tremendamente efficace in termini geopolitici. Perché sì, la keyword è Bitcoin. E quelle che lo seguono da vicino sono asset strategico e riserva digitale. Il nuovo lessico del potere non parla più solo di missili ipersonici o porti militari in Africa, ma di nodi blockchain e SHA-256.

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