Apple intelligence in crisi d’identità, ma Tim Cook giura che tutto è sotto controllo
L’aria a Cupertino quest’anno è più elettrica del solito. Ma non nel senso buono. Quando il palco della WWDC 2025 si è acceso, l’energia non era quella trionfale di un impero in espansione, ma quella nervosa di un gigante che sa di essere osservato da troppo vicino. Le luci dello Steve Jobs Theater brillano, sì, ma non riescono a nascondere le ombre: quelle di un’intelligenza artificiale che si è fatta attendere troppo, di giudici federali che non si fanno più incantare dalle vetrine di Apple Park, e di una politica commerciale che inizia a mostrare il conto, da Washington a Pechino.
Apple Intelligence, l’ambiziosa scommessa annunciata l’anno scorso tra effetti speciali e promesse roboanti, oggi appare come un adolescente confuso che ha dimenticato cosa voleva diventare da grande. Doveva essere l’AI “personalizzata, privata e potente”. Quello che abbiamo visto, invece, è una creatura ibrida, impantanata tra modelli on-device limitati e una dipendenza poco dichiarata da ChatGPT, con la promessa implicita che “niente sarà inviato senza il tuo permesso” — il che, detto da una società sotto indagine antitrust, suona più come un patto tra cavalieri medievali che come una policy credibile.