L’Europa sta affrontando delle grandi trasformazioni che rendono necessario accelerare sull’innovazione, trovando nuovi motori di crescita e aumentando la competitività che è compressa da una domanda estera più debole e le crescenti pressioni competitive delle aziende cinesi, sul contenimento dei costi dell’energia (le aziende dell’UE devono ancora affrontare prezzi dell’elettricità che sono 2-3 volte superiori a quelli degli Stati Uniti e quelli del gas naturale 4-5 volte più alti), continuando a decarbonizzare e passando ad un’economia circolare, senza tralasciare che ci troviamo una situazione geopolitica meno stabile che richiede all’Europa di non contare sugli altri per la propria sicurezza perché, in questo contesto, le dipendenze si stanno trasformando in vulnerabilità.

Sono questi i principali pillars del Rapporto sulla competitività dell’Ue presentato questa mattina da Mario Draghi, un documento che contiene circa 170 proposte, a proposito delle quali l’ex banchiere centrale ha tenuto a precisare che “non stiamo partendo da zero, voglio rassicurarvi”.

I valori fondamentali dell’Europa sono prosperità, equità, libertà, pace e democrazia in un ambiente sostenibile. L’Ue esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali. Se l’Europa non sarà più in grado di garantirli avrà perso la sua ragione d’essere. L’unico modo per affrontare questa sfida è crescere e diventare più produttivi, preservando i nostri valori di equità e inclusione sociale. L’unico modo per diventare più produttiva è che l’Europa cambi radicalmente” sono le parole contenute nell’introduzione del Rapporto sulla Competitività presentato questa mattina da Mario Draghi che sottolinea come la produttività sia “una sfida esistenziale per l’Ue“.

Il fabbisogno finanziario necessario all’Ue per raggiungere i suoi obiettivi è enorme: sono necessari almeno 750-800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui, pari al 4,4-4,7% del Pil dell’Ue nel 2023, da realizzare anche attraverso l’emissione di strumenti di debito comune. Per fare un paragone dell’entità dello sforzo richiesto, gli investimenti del Piano Marshall nel periodo 1948-51 equivalevano all’1-2% del Pil dell’Ue.

Il Rapporto individua anche nel voto all’unanimità degli ostacoli allo sviluppo dell’Ue che dovrebbero sfruttate tutte le possibilità offerte dai Trattati per estendere il voto a maggioranza qualificata su un numero più ampio possibile di aree.

Il rapporto Draghi raccomanda inoltre di aumentare i finanziamenti europei per la Ricerca e Sviluppo (R&S) nel campo della difesa e di concentrarli su iniziative comuni, perché, si legge nel Rapporto, “nessuno Stato membro può finanziare, sviluppare, produrre e sostenere efficacemente tutte le capacità e le infrastrutture necessarie per mantenere la leadership” nelle tecnologie più avanzate di oggi.

Per ridurre le sue vulnerabilità, l’Ue deve sviluppare una vera e propria politica economica estera basata sulla sicurezza delle risorse critiche, anche attraverso l’adozione di una la legge sulle materie prime critiche. A tale proposito, il rapporto raccomanda poi d’integrare questa legge con una strategia globale che copra tutte le fasi della catena di approvvigionamento dei minerali critici, dall’estrazione alla lavorazione al riciclaggio, creando eventualmente, per la fase di approvvigionamento, “una piattaforma europea dedicata alle materie prime critiche“.

La competitività dell’Ue è attualmente compressa da un duplice effetto, quello di una domanda estera più debole e quello della concorrenza da parte delle imprese cinesi. La quota dell’Ue nel commercio mondiale è in calo, registrando un notevole calo dall’inizio della pandemia, accompagnato da una perdita di terreno nel settore delle tecnologie avanzate che guideranno la crescita futura. I Paesi dell’Ue, si legge nel Rapporto “stanno già rispondendo a questo nuovo contesto con politiche più assertive, ma lo fanno in modo frammentario che mina l’efficacia collettiva. in modo frammentario, il che mina l’efficacia collettiva“.

A tale proposito, “l’Europa dovrebbe massimizzare i propri sforzi congiunti per rafforzare l’innovazione nei semiconduttori e la propria presenza nei segmenti dei chip più avanzati” continua Draghi che aggiunge “dopo la proposta di un European Chips Act, nell’Ue sono stati annunciati investimenti totali nella diffusione industriale per circa 100 miliardi di euro, sostenuti per la maggior parte dagli Stati membri sotto il controllo degli aiuti di Stato. Tuttavia, esiste il rischio che un approccio frammentato porti a uno debole coordinamento. Si propone pertanto di creare uno stanziamento di bilancio centralizzato dell’Ue dedicato ai semiconduttori supportato da un nuovo “fast track” come per gli Important Projects of Common European Interest (Ipcei)

Da questo punto di vista, il Rapporto raccomanda di lanciare una strategia comune basata su quattro elementi: 1) finanziamenti per l’innovazione e la creazione di laboratori di prova vicino ai centri di eccellenza esistenti; 2) fornire sovvenzioni o incentivi fiscali per la ricerca e sviluppo alle aziende “fabless” attive nella progettazione di chip e nelle fonderie in segmenti strategici selezionati; 3) sostenere il potenziale di innovazione dei chip tradizionali; 4) coordinare gli sforzi dell’Ue negli imballaggi avanzati 3D back-end, nei materiali avanzati e nei processi di finitura.

Gli Stati membri stanno già agendo individualmente e le politiche industriali sono in aumento. Ma è evidente che l’Europa non è all’altezza di ciò che potremmo ottenere se agissimo come comunità“, si legge nel Rapporto Draghi. Tre ostacoli si frappongono in questo cammino. Ci sono degli obiettivi comuni, che non vengono sostenuti con lo stabilire priorità chiare o dando seguito ad azioni politiche congiunte. Ad esempio, sostiene Draghi “affermiamo di favorire l’innovazione, ma continuiamo ad aggiungere oneri normativi alle aziende europee, che sono particolarmente costosi per le PMI e controproducenti per quelle nei settori digitali. Più della metà delle PMI in Europa segnala gli ostacoli normativi e gli oneri amministrativi come la loro sfida più grande. Abbiamo anche lasciato il nostro Mercato unico frammentato per decenni, il che ha un effetto a cascata sulla nostra competitività. Spinge le aziende ad alta crescita all’estero, riducendo a sua volta il bacino di progetti da finanziare e ostacolando lo sviluppo dei mercati dei capitali europei. E senza progetti ad alta crescita in cui investire e mercati dei capitali per finanziarli, gli europei perdono l’opportunità di diventare più ricchi. Anche se le famiglie dell’UE risparmiano più delle loro controparti statunitensi, la loro ricchezza è cresciuta solo di un terzo dal 2009“.

L’Europa poi, secondo la visione di Draghi, sta sprecando le sue risorse comuni. “Abbiamo un grande potere di spesa collettivo, ma lo diluiamo su più strumenti nazionali e dell’UE diversi” si legge nel documento che cita come nel settore della difesa l’Europa non stia ancora unendo le forze per aiutare le aziende europee ad integrarsi e a raggiungere economie di scala. Gli appalti collaborativi europei poi, si legge nel Rapporto rappresentano meno di un quinto della spesa per gli appalti di attrezzature per la difesa nel 2022. Inoltre, non favoriamo le aziende di difesa europee competitive. “Tra la metà del 2022 e la metà del 2023, il 78% della spesa totale per gli appalti è andato a fornitori extra-UE, di cui il 63% è andato agli Stati Uniti” afferma Draghi.

L’Ue deve puntare ad avvicinarsi all’esempio statunitense in termini di crescita della produttività e innovazione, ma senza gli inconvenienti sociali del modello Usa” si legge nel Rapporto che indica come lo stato sociale europeo sarà fondamentale per fornire servizi pubblici, protezione sociale, alloggi, trasporti e assistenza all’infanzia forti durante la transizione verso l’economia del futuro, garantendo che tutti i lavoratori abbiano diritto all’istruzione e alla riqualificazione.

Il Rapporto sottolinea poi come “il divario di produttività tra l’UE e gli Stati Uniti è in gran parte spiegato dal settore tecnologico. L’UE è debole nelle tecnologie emergenti che guideranno la crescita futura. Solo quattro delle prime 50 aziende tecnologiche al mondo sono europee“.

Eppure, l’Europa deve crescere in questo settore anche perché “l’Ue sta entrando nel primo periodo della sua storia recente in cui la crescita non sarà sostenuta dall’aumento della popolazione. Entro il 2040, si prevede che la forza lavoro si ridurrà di quasi 2 milioni di lavoratori ogni anno“.

Questo implica che l’Ue dovrà fare sempre più affidamento sulla produttività per guidare la crescita perché se l’Ue dovesse mantenere il suo tasso medio di crescita della produttività dal 2015, questo sarebbe sufficiente solo a mantenere costante il Pil fino al 2050.

Per digitalizzare e decarbonizzare l’economia e aumentare la capacità di difesa europea, la quota di investimenti nel vecchio contenente dovrà aumentare di circa 5 punti percentuali del Pil a livelli che sono stati visti l’ultima volta negli anni ’60 e ’70.

Abbiamo fatto un esperimento, abbiamo rimosso il settore dell’high tech negli Usa e abbiamo comparato nuovamente l’economia degli Stati Uniti e dell’Ue a abbiamo visto che in quel caso sono paragonabili e anzi, la produttività nell’Ue sarebbe leggermente meglio. Dunque la chiave è nell’high tech e nell’innovazione” si legge nel Rapporto.

Draghi si è soffermato anche sul tema della transizione riferendo che “se agli ambiziosi obiettivi climatici dell’Europa corrisponderà un piano coerente per raggiungerli, la decarbonizzazione sarà un’opportunità per l’Europa. Ma se non riusciamo a coordinare le nostre politiche, c’è il rischio che la decarbonizzazione sia contraria alla competitività e alla crescita“.

Anche se i prezzi dell’energia sono diminuiti considerevolmente rispetto ai loro picchi, il divario di prezzo che le imprese europee pagano verso quelle americane è dovuto principalmente alla mancanza di risorse naturali in Europa, ma anche a problemi fondamentali del nostro mercato comune dell’energia. Le regole del mercato impediscono alle industrie e alle famiglie di cogliere appieno i benefici dell’energia pulita nelle loro bollette. “Tasse elevate e le rendite catturate dagli operatori finanziari aumentano i costi dell’energia per la nostra economia“, osserva Draghi che aggiunge “nel medio termine, la decarbonizzazione contribuirà a spostare la produzione di energia verso fonti energetiche pulite e sicure, a basso costo. Ma i combustibili fossili continueranno a svolgere un ruolo centrale nella determinazione dei prezzi dell’energia per il resto di questo decennio. Senza un piano per trasferire i benefici della decarbonizzazione agli utenti finali, i prezzi dell’energia continueranno a pesare sulla crescita“, sottolineando che la spinta globale alla decarbonizzazione può essere un’opportunità di crescita per l’industria dell’Ue che è leader mondiale nelle tecnologie pulite come le turbine eoliche, gli elettrolizzatori e i carburanti a basso contenuto di carbonio.

“Noi siamo già in una modalità di crisi” conclude Draghi “e non riconoscerlo significherebbe ignorare la realtà“.