La storia è da sempre un motore di potere e influenza nelle società umane, e se Platone avesse ragione, oggi le storie che vengono raccontate sull’intelligenza artificiale (AI) potrebbero determinare chi governa e come viene governato il futuro. In un’epoca in cui il dibattito sull’AI è sempre più acceso e articolato, le narrative si moltiplicano, spesso con obiettivi opposti e a volte contrastanti, a seconda di chi le racconta. Gli sviluppatori di modelli di AI, le aziende che li applicano, i governi e gli utenti finali sono tutti protagonisti di una trama che cambia rapidamente. E, mentre tutti questi attori raccontano storie sull’AI, la domanda che emerge è chi, alla fine, avrà il controllo e come ciò influenzerà il futuro del lavoro e della società.

Il punto di vista degli sviluppatori di AI: Utopia e superintelligenza

I costruttori di modelli di intelligenza artificiale, per molto tempo, sono stati gli evangelisti della promessa di un futuro migliore grazie alla tecnologia. Questi sviluppatori, molti dei quali sono anche tra gli investitori più noti nel campo, hanno abbracciato una visione piuttosto idealistica del futuro, uno scenario quasi utopico. Un esempio perfetto di questa prospettiva viene da Dario Amodei, CEO di Anthropic, che ha scritto il suo saggio “Machines of Loving Grace”, delineando una visione in cui la tecnologia allevia malattie, povertà e disuguaglianze, e dove la democrazia liberale diventa la forma dominante di governo. Qui si trova una fusione tra l’ambizione tecnologica e un ideale politico di uguaglianza, ma, come molti commentatori hanno notato, ci si potrebbe chiedere se davvero la tecnologia, da sola, possa risolvere problemi strutturali così complessi.

Marc Andreessen, noto investitore tecnologico, ha recentemente fatto dichiarazioni simili, esprimendo una visione in cui l’AI non solo migliora ogni aspetto della vita umana, ma lo fa in modo che l’intelligenza artificiale diventi uno strumento per affrontare le sfide globali, da curare tutte le malattie a raggiungere viaggi interstellari. Queste posizioni sono una manifestazione dell’idea che l’intelligenza artificiale possa essere una risorsa democratizzante, ma è interessante notare come questa visione sembri essere rivolta a coloro che sono già al potere nel settore tecnologico e finanziario, piuttosto che alla società nel suo insieme. Per quanto utopica, la narrazione dell’AI sembra presupporre che chi ha i mezzi per sviluppare queste tecnologie possa essere anche colui che trarrà i maggiori benefici da esse.

Le aziende che sviluppano applicazioni AI: un nuovo tipo di dipendente

Mentre i costruttori di modelli di AI parlano di un futuro migliore, le aziende che sviluppano applicazioni basate su questa tecnologia sembrano concentrarsi principalmente su vantaggi economici più tangibili e immediati. In un recente annuncio pubblicitario, un’applicazione AI è stata descritta come un “nuovo membro del team” che “non prende mai un giorno di riposo”, destinato a quelle aziende “stanche dell’alto turnover e della bassa motivazione dei dipendenti”. Questi messaggi, che esaltano l’AI come soluzione alla gestione della forza lavoro, potrebbero sembrare esagerati, ma segnalano una tendenza più ampia che sta prendendo piede: l’AI come sostituto del lavoro umano.

Allo stesso modo, una startup di AI chiamata Artisan ha lanciato una campagna pubblicitaria con il messaggio “Stop Hiring Humans”, mettendo in evidenza come le macchine non si lamentano del bilanciamento tra vita privata e lavoro, non avranno mai problemi con le videoconferenze e non richiederanno ferie. Questa retorica riduce il ruolo degli esseri umani a un ostacolo per l’efficienza, eppure non è priva di controindicazioni, in quanto solleva interrogativi sui reali costi sociali e economici di un mondo in cui il lavoro umano viene sostituito in modo massiccio.

Le aziende che utilizzano AI: potenza e produttività

Se le storie dei costruttori di AI e delle applicazioni sono dominate da una visione futuristica, le aziende che utilizzano l’AI per migliorare la propria produttività sono più pragmatiche. Per loro, l’intelligenza artificiale è prima di tutto uno strumento per velocizzare i processi aziendali, ridurre i costi e aumentare l’efficienza. Sebbene siano molto meno disposte ad abbracciare l’utopia dell’AI, queste aziende vedono nell’intelligenza artificiale un modo per migliorare le performance senza dover dipendere dai limiti umani.

Un esempio interessante arriva da Sebastian Siemiatkowski, CEO di Klarna, che ha dichiarato senza mezzi termini che l’AI è capace di fare tutti i lavori, inclusi quelli dei dirigenti. La sua posizione, che sembra abbracciare l’idea di un futuro in cui l’intelligenza artificiale possa prendere il posto degli esseri umani, rappresenta una riflessione provocatoria sulle implicazioni etiche e sociali di una forza lavoro automatizzata. In un certo senso, questo discorso è l’eco della visione dei costruttori di AI, ma con un focus pratico e aziendale.

Il paradosso dell’AI nelle aziende costruttrici: cultura aziendale e sostituzione del lavoro umano

Ironia della sorte, le stesse aziende che stanno progettando l’intelligenza artificiale più avanzata sono anche quelle che, quando devono razionalizzare la propria forza lavoro, raccontano storie di “cultura aziendale” piuttosto che di sostituzione del lavoro umano. Un esempio notevole di questo fenomeno è Mark Zuckerberg, che recentemente ha dichiarato che Meta sta “rendendo più piatta” la sua organizzazione per migliorare l’efficienza, senza fare riferimento al fatto che centinaia di dipendenti sono stati licenziati. Lo stesso approccio è stato adottato da Amazon, dove Andy Jassy ha parlato di ottimizzazione della cultura aziendale piuttosto che di riduzione della forza lavoro.

Queste narrazioni sono importanti per comprendere come le aziende stiano cercando di giustificare i licenziamenti legati all’introduzione dell’intelligenza artificiale, ma potrebbero non essere sufficienti a mascherare le implicazioni più ampie di un mondo in cui la sostituzione del lavoro umano è diventata un obiettivo dichiarato.

In questo contesto, la domanda fondamentale resta: come evolverà la società se tutte queste storie sull’AI si rivelano essere, almeno in parte, vere? Sarà davvero un’era di uguaglianza e abbondanza, come sperano alcuni, o stiamo assistendo a un cambiamento che porterà a nuove forme di disuguaglianza e concentrazione di potere? Chi avrà davvero il controllo del futuro quando l’intelligenza artificiale avrà il potenziale per sostituire l’intelligenza umana? La risposta, come sempre, dipende dalle storie che decideremo di raccontare e, soprattutto, da chi avrà il potere di raccontarle.