La scommessa generativa da 80 miliardi di dollari

Oracle ha finalmente smesso di essere la vecchia signora dei database e ha cominciato a vestirsi da tech-giant ipermuscolato. A dispetto di chi la dava per sorpassata, i risultati trimestrali del terzo trimestre fiscale 2024 mostrano che Larry Ellison non solo non ha intenzione di mollare il volante, ma che il motore sotto il cofano ora è alimentato da cloud, intelligenza artificiale generativa e ambizioni sanitarie. Ricavi in crescita del 7%, pari a 13,3 miliardi di dollari. Tradotto: il piano di trasformazione digitale avviato anni fa non era solo storytelling da investor relations, ma una mutazione genetica che ora dà frutti. Il cloud, come previsto, è il pezzo forte dello show, con una crescita a doppia cifra sia nei servizi sia nel supporto alle licenze. I servizi cloud e il supporto hanno toccato i 10 miliardi, +12%, mentre le licenze on-premise sono scese del 3%. Una discesa più che fisiologica. L’on-premise, oggi, è come il fax: resiste, ma non entusiasma.

In Italia, il vento soffia nella stessa direzione. Anzi, secondo Carlota Alvarez, Country Manager e VP Legal South Europe di Oracle Italia, c’è stato un “deciso balzo in avanti” nell’adozione delle Oracle Cloud Applications, soprattutto da parte delle grandi organizzazioni. Il vero boost? Il settore finanziario e le utility, che stanno smettendo i panni da dinosauri digitali e abbracciano con entusiasmo il nuovo modello cloud distribuito, ibrido e attenzione sovrano. L’aggettivo non è casuale, visto che Oracle è tra i pochi hyperscaler a posizionarsi su quella linea sottile tra innovazione tecnologica e compliance geopolitica. Il cloud sovrano non è solo marketing, è il grimaldello con cui si entra nei palazzi pubblici europei, ed è qui che entra in scena il Pnrr italiano, un acceleratore artificiale che, finalmente, comincia a spingere anche il comparto ICT.

La macchina da guerra di Oracle, però, si mostra davvero impressionante nei suoi ricavi da infrastruttura e software-as-a-service. I ricavi IaaS e SaaS toccano i 5,1 miliardi di dollari, in crescita del 25%. Boom dell’infrastruttura pura, +49%. Saas? Bene anche lui, +14%, trainato da Fusion Cloud ERP (+18%) e NetSuite (+21%).

È qui che si annida il segreto: Oracle ha costruito una base solida non solo sulle promesse, ma su contratti veri, firmati, attivati. Non parliamo di spiccioli. Le Remaining Performance Obligations, ovvero le promesse di ricavi futuri già messe nero su bianco, sono esplose a 80 miliardi di dollari. Il 43% di questi soldi verrà incassato entro i prossimi quattro trimestri. Altro che backlog fumoso: questo è un bancomat a cielo aperto.

Ma l’ingrediente segreto è l’intelligenza artificiale generativa. Sì, proprio quella su cui ormai ogni tech company gioca il tutto per tutto. Safra Catz, CEO di Oracle, ha messo i puntini sulle “i”: “La domanda per la nostra infrastruttura AI Gen2 supera l’offerta”.

Capito? La domanda è talmente alta che nemmeno i nuovi datacenter riescono a tenere il passo. Risultato: +53% anno su anno per il business cloud Gen2. Un’iper-crescita che non mostra segni di rallentamento. Siamo di fronte a una tipica curva a gomito, di quelle che gli investitori adorano ed è anche un ottimo modo per tacitare i nostalgici dei mainframe.

Il comparto sanitario, spesso considerato la palude dell’IT, diventa invece la frontiera successiva. Oracle ha completato la migrazione dei clienti Cerner sulla sua infrastruttura cloud Gen2. Ora sta per lanciare la sua nuova suite cloud per cliniche ambulatoriali, con tanto di assistente vocale integrato che aggiorna automaticamente le cartelle cliniche. Parliamo di intelligenza artificiale applicata in modo chirurgico, letteralmente. Clinical Digital Assistant è il tipo di innovazione che ti aspetti da una health-tech startup, non da un colosso che fino a poco fa era sinonimo di database relazionali e fatture da brivido.

Larry Ellison, non a caso, ha detto che questa rivoluzione farà di Oracle Health una macchina da crescita per “gli anni a venire” e quando Ellison dice “anni a venire”, non sta parlando di trimestri, ma di egemonia.

Il mercato europeo non resta a guardare. Airbus, Deutsche Bank, LVMH, Santander e l’italiana ARIA sono solo alcuni dei nomi che hanno sottoscritto servizi Oracle Cloud nell’ultimo trimestre. Ma è l’accordo con la Commissione Europea a segnare un punto di svolta: Oracle Cloud Infrastructure è ora parte delle offerte disponibili per le pubbliche amministrazioni dell’Unione.

Altro che vendor americano in cerca di spazio: questa è una legittimazione istituzionale di altissimo livello. Un contratto di sei anni che spalanca le porte a decine di agenzie e organismi dell’UE, con oltre 100 servizi OCI accessibili. Il messaggio è chiaro: Oracle non è più l’alternativa, è il piano A.

Poi, ci sono i numeri che piacciono agli analisti. Utile operativo Gaap a 3,8 miliardi, non Gaap a 5,8 (+12%). Utile netto Gaap a 2,4 miliardi, non Gaap a 4 miliardi (+18%). EPS (earning per share) a 1,41 dollari, +16%. Margine operativo non Gaap al 44%.

La parola chiave, qui, è resilienza. In un mercato in cui molti big tech rallentano, Oracle accelera e lo fa distribuendo dividendi: 0,40 dollari per azione, con pagamento previsto il 24 aprile 2024. Una mossa da classico blue chip, ma anche un messaggio: siamo solidi, siamo redditizi e non stiamo giocando alla lotteria dell’hype.

Dall’Italia alla Silicon Valley, Oracle sta dimostrando che si può riscrivere la propria narrativa anche dopo quattro decenni di storia. Cloud sovrano, AI generativa, sanità intelligente, contratti pubblici e flussi di cassa mostruosi è tutto qui.

Una società che, invece di inseguire le mode, ha riscritto il proprio codice genetico per dominare l’era post-cloud e se tutto questo non bastasse, c’è sempre Oracle CloudWorld Tour, che il 21 marzo sbarca per la prima volta a Milano e noi di Rivista.AI ci saremo. Una tappa non casuale. L’Italia, si sa, ama le seconde possibilità. Anche quando si tratta di una multinazionale dal cuore californiano e dal portafoglio europeo.