Nel cuore della tempesta geopolitica tra Stati Uniti e Cina, una nuova narrativa tecnologica si sta scrivendo con toni orgogliosi e una spruzzata di vendetta industriale. iFlytek, colosso cinese del riconoscimento vocale, ha annunciato che i suoi modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) ora poggiano interamente su infrastruttura computazionale cinese, grazie alla collaborazione con Huawei. Un’alleanza non solo tecnologica, ma politica, che mira a scrollarsi di dosso la dipendenza da chip americani come quelli della Nvidia, sempre più difficili da importare a causa delle restrizioni di Washington.
Dietro le quinte di questa rivoluzione sovranista dell’intelligenza artificiale c’è Xinghuo X1, un modello di ragionamento definito “autosufficiente e controllabile”. Parole scelte con cura chirurgica per rassicurare Pechino e tutti quei settori industriali strategici che vedono in questa svolta l’unica via per non rimanere ostaggio dell’Occidente tecnologico. La narrazione ufficiale vuole che, dopo un’intensa co-ingegnerizzazione con Huawei, Xinghuo X1 sia ora in grado di competere con giganti come OpenAI o1 e DeepSeek R1, secondo un post trionfalistico pubblicato su WeChat da iFlytek.
Il messaggio, tuttavia, è più profondo della semplice prestazione computazionale. È una dichiarazione di indipendenza strategica. L’anno scorso, l’efficienza del chip Ascend 910B di Huawei era un misero 20% rispetto all’equivalente Nvidia. Ma, con una determinazione che sa di corsa spaziale anni ‘60, i due partner hanno spinto questa efficienza all’80%. Un salto quantico che non può essere ignorato, soprattutto in un contesto dove la parola “licenza” si è trasformata in un’arma geopolitica. Nvidia ora ha bisogno di un permesso specifico per esportare i suoi chip H20 in Cina, chip già castrati rispetto ai fratelli maggiori vietati dal 2022.
Quello che Liu Qingfeng, presidente e fondatore di iFlytek, ha sottolineato con un mezzo sorriso durante la conference call agli investitori è chiaro: se ci tagliano fuori, non moriamo. La “fatica” fatta per costruire modelli AI senza l’aiuto delle GPU americane, diventa ora un paracadute strategico per la nazione. Un’assicurazione sul futuro. E un biglietto da visita per un mercato globale stanco delle guerre tariffarie a stelle e strisce.
Non è un caso che iFlytek abbia piazzato la propria testa di ponte internazionale a Hong Kong, luogo dove l’Occidente può ancora dare una stretta di mano commerciale a un’entità che parla il linguaggio di Pechino ma strizza l’occhio a Londra. Da lì si muoverà verso mercati emergenti, offrendo una versione “non Nato” della rivoluzione AI. E dove c’è domanda di alternativa, la Cina è sempre pronta a vendere la sua versione del progresso, con un bel fiocco rosso.
I numeri però raccontano una storia a doppio taglio. Se da un lato i ricavi 2024 sono saliti a 23,34 miliardi di yuan, con un balzo del 18,79% rispetto all’anno precedente, dall’altro i profitti netti hanno fatto segnare un -14,78%. Un dato che fa riflettere: sovranità tecnologica sì, ma a caro prezzo. Intanto, il mercato ha reagito con la solita freddezza algoritmica, facendo chiudere il titolo in calo dello 0,44%.
In questo grande gioco tra chip, sovranità e potenza computazionale, una cosa è certa: il modello della Silicon Valley non è più l’unico sulla piazza. E mentre l’Occidente discute di etica dell’intelligenza artificiale, la Cina la costruisce. A modo suo, con i suoi chip e i suoi alleati.