Zuckerberg rilancia sull’intelligenza artificiale: una scommessa da 72 miliardi per drogare l’algoritmo
Quando Mark Zuckerberg decide di mettere mano al portafoglio, non lo fa per tirare fuori qualche spicciolo. No, lui apre la cassaforte e butta dentro una bomba termonucleare di dollari. Meta ha appena aggiornato le sue previsioni di spesa in conto capitale per il 2025, portandole a un massimo di 72 miliardi di dollari, rispetto ai 65 miliardi annunciati solo qualche mese fa. È un aumento brutale, chirurgico, quasi da film di Scorsese, che rappresenta un +84% rispetto allo scorso anno. Il dettaglio più interessante? Se la spesa si manterrà su questi livelli, Meta si posizionerà fianco a fianco con Alphabet, nonostante quest’ultima abbia ancora una struttura di ricavi molto più massiccia. Ma a Zuckerberg, si sa, non è mai importato molto del confronto tra giganti: lui gioca per vincere, o per riscrivere le regole del gioco.
Il punto non è che Meta stia crescendo più del previsto, anzi: se si guarda alle previsioni per il secondo trimestre, c’è un evidente raffreddamento, complice anche la volatilità dei cambi che impatta i ricavi dichiarati. No, la vera motivazione di questo aumento vertiginoso della spesa è un’altra, ed è quasi mistica: la fame di calcolo. Zuckerberg ha chiarito che vuole accelerare la disponibilità di capacità computazionale per addestrare e far girare i suoi modelli di intelligenza artificiale. E non stiamo parlando di giochini da laboratorio universitario, ma di architetture da guerra fredda digitale, in grado di ridefinire il comportamento di miliardi di utenti.
Durante la conference call con gli investitori, Zuckerberg ha finalmente tolto il velo sulle sue ambizioni AI. Ha parlato di come l’intelligenza artificiale stia diventando il nuovo carburante dell’intera macchina Meta, non solo nei laboratori di Menlo Park, ma già oggi, nel cuore pulsante delle sue piattaforme. La direttrice finanziaria Susan Li ha specificato che i modelli linguistici di grandi dimensioni – quelli che imparano, predicono, suggeriscono – sono ormai alla base della selezione dei contenuti che ci vengono propinati su Facebook, Instagram e soprattutto Threads. Risultato? Il tempo medio trascorso dagli utenti sull’app è aumentato del 4%. Non è molto, dite? Moltiplicatelo per centinaia di milioni di utenti e otterrete un eccesso di dopamina su scala planetaria. Un cocktail perfetto di engagement e dipendenza algoritmica.
Ovviamente, c’è anche il solito zuccherino: l’AI serve pure a mostrare annunci migliori, quindi più clic, più conversioni, più fatturato. La pubblicità resta il core business, inutile girarci attorno. Ma qui il gioco si fa sottile. Zuckerberg non sta solo investendo per migliorare il targeting. Sta scommettendo che l’intelligenza artificiale possa diventare il nuovo motore della monetizzazione sociale, in un contesto dove gli utenti vengono analizzati, profilati e stimolati al limite del predatorio.
Ma non tutto fila liscio. I rischi, sebbene minimizzati dalla narrativa aziendale, sono presenti e potenzialmente devastanti. Il contesto economico globale non è dei più stabili, anche se Meta – come Microsoft – sembra avere il lusso di non curarsene troppo. Più pericolosa è la mina regolatoria: l’Unione Europea ha già fatto capire che la festa della profilazione potrebbe finire presto. Una recente sentenza potrebbe costringere Meta a ristrutturare il suo servizio nel mercato europeo, con impatti concreti e dolorosi sui ricavi già a partire dal terzo trimestre. E non dimentichiamoci della causa della Federal Trade Commission negli Stati Uniti, che vuole fare a pezzi l’impero di Zuckerberg come se fosse un Trust da Gilded Age.
Eppure, Zuckerberg non trema. Anzi, rilancia. Per lui, l’intelligenza artificiale non è un’opzione: è il prossimo stadio dell’evoluzione di Meta. È il modo per colonizzare ancora più a fondo la psiche collettiva, per rendere ogni interazione, ogni like, ogni scroll, parte di un circuito chiuso di predizione e profitto. E lo fa con l’aria di chi sa che l’unico modo per vincere è spendere prima di tutti, di più di tutti.
In fondo, non sta solo costruendo un’infrastruttura tecnologica. Sta edificando un panopticon cognitivo dove l’intelligenza artificiale non è al servizio dell’utente, ma del business. E se questo significa investire 72 miliardi, per lui sono ben spesi.
Mark Zuckerberg ha deciso che anche il suo giocattolo AI merita una carta di credito. Durante l’earnings call del primo trimestre 2025, il CEO di Meta ha confermato che il nuovo Meta AI, lanciato come app standalone dopo mesi di sperimentazioni integrate dentro Facebook, Messenger e WhatsApp, avrà presto una versione a pagamento. Un “premium service” parole sue pensato per chi vuole “sbloccare più potenza di calcolo o funzionalità aggiuntive”. Tradotto: l’AI per tutti è una demo, quella seria te la compri.
Zuckerberg non ha nemmeno cercato di mascherare l’intento. Meta vuole monetizzare. Siamo di fronte all’ennesimo episodio della saga “la democratizzazione dell’intelligenza artificiale… ma solo se puoi permettertela”. È il modello OpenAI, Google e Microsoft, che hanno già imbastito la loro segmentazione freemium con ChatGPT Plus, Gemini Advanced e Copilot Pro. Chi vuole performance, affidabilità e accesso alle nuove chicche paga, chi no si arrangia con i ritagli.
Il tempismo non è casuale. Meta AI ha raggiunto secondo quanto dichiarato quasi un miliardo di utenti. Numeri colossali, anche se vaghi. Ma non basta generare immagini simpatiche con un prompt e spingere qualche status su WhatsApp: adesso bisogna far quadrare i conti. E allora ecco il secondo colpo di teatro: Meta prevede ora fino a 72 miliardi di dollari di investimento sull’AI, in crescita rispetto ai 65 annunciati in precedenza. Traduzione: ci stiamo giocando tutto su questa scommessa, ed è ora che inizi a fruttare.
Zuckerberg ha anche lasciato trapelare la possibilità di inserire “consigli sui prodotti o pubblicità” direttamente dentro Meta AI. Come dire: se non paghi per il prodotto, diventi il prodotto. O forse peggio, diventi il target di un motore predittivo che conosce i tuoi gusti meglio della tua coscienza. Un’integrazione pubblicitaria in un assistant AI apre scenari inquietanti, con la capacità di suggerire, influenzare e manipolare ogni micro-interazione. Siamo a un passo dal personal shopper neurale sponsorizzato da chi ha l’offerta migliore sul momento.
Il rollout, però, non sarà immediato. Zuckerberg ha detto chiaramente che per il prossimo anno il focus resterà sullo scaling e sull’aumento dell’engagement. In altre parole: vogliamo prima farvi entrare tutti nell’ecosistema, farvi abituare, rendervi dipendenti e poi… monetizzare ogni respiro digitale.
Intanto, mentre OpenAI firma accordi strategici con Apple e Microsoft e Google riassetta tutta la suite con Gemini, Meta si posiziona come il player social dell’intelligenza artificiale. Ma non facciamoci illusioni: dietro l’apparente accessibilità del suo bot chiacchierone, c’è una macchina assetata di dati, attenzioni e — sempre di più — contanti.
Nel capitalismo cognitivo del 2025, anche l’intelligenza è diventata un abbonamento.
Zuckerberg non vuole che tu parli con un’AI. Vuole che tu parli con la sua AI, dentro il suo recinto, con le sue regole. E magari, che tu clicchi su un paio di ads mentre ci sei.
Fonte ufficiale: Meta Q1 2025 Earnings Call Transcript