Siamo nel mezzo di un vuoto di potere sacro, una bizzarra sospensione dell’ordine che solo la Chiesa Cattolica può rendere così solenne, ritualizzata e intrisa di fumo – bianco o nero che sia. Dopo la morte di Papa Francesco a sorpresa il Lunedì di Pasqua, è ufficialmente iniziato l’interregnum, termine elegante, colto e latineggiante per definire quello che in fondo è un vuoto di comando. Letteralmente, “tra due regni”: un tempo di mezzo dove il trono è vuoto e tutti aspettano un nuovo re. O, in questo caso, un nuovo papa.
Questo periodo è anche noto come sede vacante, e non è solo una questione semantica. La sedia vuota non è una metafora: è la Sancta Sedes, la Santa Sede, che rimane priva della sua figura apicale, il Vescovo di Roma, successore di Pietro, Vicario di Cristo, Capo dello Stato Vaticano, e CEO spirituale di oltre un miliardo di fedeli. Il sistema, nel frattempo, entra in modalità provvisoria. La macchina curiale rallenta, l’apparato diplomatico resta sospeso, le decisioni importanti vengono congelate. Un limbo burocratico e teologico.
E come ogni vuoto di potere che si rispetti, l’interregno papale è regolato da un protocollo millimetrico, dal sapore antico, quasi medioevale. Una liturgia del vuoto che si articola in tre atti. Il primo è quello del novediales: nove giorni di lutto. Le messe si susseguono, il corpo di Francesco è esposto a San Pietro, e i cardinali cominciano ad atterrare a Fiumicino come se partecipassero a una sorta di summit globale in toga rossa.
Tra i primi ad arrivare, Cardinal William Goh Seng Chye da Singapore, seguito da Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij dalla Thailandia. Il conclave prossimo venturo potrebbe davvero sancire la svolta storica: un papa asiatico? Una novità assoluta in duemila anni di storia pontificia. L’opzione non è più solo esotica, è geopoliticamente sensata: l’Asia è il futuro della Chiesa, con le vocazioni che calano in Europa e crescono in India, nelle Filippine, in Corea del Sud.
Il Conclave – parola che deriva dal latino cum clave, “chiuso a chiave” – inizierà il 7 maggio 2025.
L’evento storico che diede origine al nome dell’elezione papale risale al 1270, quando gli abitanti di Viterbo, sede papale, esasperati dall’indecisione dei cardinali, li rinchiusero nella sala grande del palazzo papale e rimossero parte del tetto per accelerare la decisione. Fu eletto papa Gregorio X, che nel 1274 istituì il conclave con la costituzione apostolica Ubi Periculum. Il primo conclave ufficiale si tenne nel 1276, e il conclave del 2025 sarà il 76° secondo questa forma.
Dal 7 maggio, la Cappella Sistina diventa un fortino isolato: niente telefoni, niente giornali, niente mail criptate. I cardinali elettori vengono sequestrati, letteralmente. Un rituale quasi claustrofobico, dove ogni elemento è calibrato con ossessiva precisione liturgica. Si giura in latino, si vota in latino, si conta in latino. Le schede sono piegate, deposte in un calice, e poi bruciate in una stufa con additivi chimici per produrre fumo. Nero se nulla di fatto, bianco se abbiamo un papa. Fumata bianca, sì, ma sotto controllo chimico.

Prima di ogni voto, ogni cardinale recita la formula che mette i brividi anche al più cinico degli ecclesiastici: Testor Christum Dominum… – “Chiamo a testimone Cristo Signore, che mi giudicherà…”. Un reminder che qui non si gioca solo con il potere terreno, ma anche con l’eternità.
Il momento culminante arriverà, come da tradizione, dal balcone centrale di San Pietro. Il Cardinal Protodiacono annuncerà con la consueta teatralità vaticana: “Annuntio vobis gaudium magnum: Habemus Papam”. Sarà allora che il nuovo pontefice, scelto a porte chiuse da un’élite di ultra-settantenni in porpora, si affaccerà per benedire “la città e il mondo”: Urbi et Orbi.

In un mondo fratturato da crisi sistemiche – clima, guerre, IA fuori controllo, polarizzazione politica il papa resta l’unica figura globale capace di esercitare un’autorità trasversale, ultranazionale, e perfino premoderna. Un monarca assoluto vestito di bianco, che parla latino e governa una multinazionale spirituale con ambasciatori in ogni Paese. L’interregno, allora, non è solo un vuoto. È una fase di incubazione. Un momento di tensione. Di attesa. Di negoziazione silenziosa tra le fazioni curiali, tra continenti, tra vecchi equilibri e nuove spinte.
Il prossimo papa, chiunque egli sia, non erediterà solo una sedia. Incarnerà il tentativo della Chiesa di rimanere rilevante nel XXI secolo, camminando sul crinale tra tradizione e innovazione. Se sarà asiatico, sarà un segnale forte. Ma il segnale più importante sarà quello del fumo bianco: che, in un mondo di crisi e caos, almeno una cosa funziona ancora secondo liturgia.