C’è qualcosa di teneramente tragico nel vedere un magnate della Silicon Valley aggrapparsi al proprio brunch come se fosse l’ultima linea di difesa contro la rivoluzione delle macchine. Marc Andreessen, ex creatore di Netscape e attuale oracolo da salotto del venture capital, ha recentemente dichiarato che l’intelligenza artificiale potrà sostituire ogni lavoro umano… tranne il suo. Perché? Perché nessuna AI potrà mai leggere l’energia di un founder mentre mastica uova strapazzate a Woodside.

Questa dichiarazione, emessa con la disinvoltura di chi ha abbastanza equity da potersi permettere l’ironia, è un’ode involontaria alla dissonanza cognitiva che regna nelle élite tecnologiche: l’idea che l’automazione sia inevitabile, implacabile, eppure magicamente selettiva. Tutti verranno sostituiti tranne quelli che controllano il capitale.

Nel podcast di a16z, Andreessen difende il mestiere del VC come un’arte psicologica. Ma l’arte, come la fede, si misura con i risultati. E in quel campo, i numeri sono più impietosi di un algoritmo di scoring creditizio: oltre il 75% delle startup finanziate non restituisce nemmeno il capitale iniziale. Solo una su dieci arriva a qualcosa di vagamente definibile come “successo”. Perché, diciamocelo, il venture capital non è scienza, non è intuizione: è roulette russa, ma con i soldi degli altri.

Nel frattempo, l’ecosistema mediatico annusa il sangue. Il Wall Street Journal, già protagonista negli anni ’80 del leggendario esperimento dei dardi lanciati sulle quotazioni azionarie (dove le scimmie batterono gli analisti), sembra ora pronto a una nuova sfida: sostituire i venture capitalist con creature ancora meno sofisticate. Si vocifera di test comparativi tra VC umani e un riccio rotolante. Se il riccio finisce su Figma, si finanzia. Se finisce su WeWork, si passa il turno.

Tutto questo mentre Andreessen continua a inondare il mercato con capitali in startup AI che promettono di automatizzare l’analisi, il giudizio e persino le decisioni strategiche. Un paradosso che sa di farsa: creare AI che rimpiazza ogni forma di expertise tranne quella che ti fa scrivere assegni con il logo di Andreessen Horowitz.

Ma Marc, che non si fa certo fermare dalle contraddizioni logiche, ha anche un piano per filtrare i non umani dal suo habitat naturale: Buck’s of Woodside, il leggendario diner tech. Qui lancerà HumanPass™, un sistema che analizza il linguaggio corporeo, il lessico da pitch e il tasso di bullshit per determinare chi è ancora “autenticamente umano”. Chi dice “AI-first” più di due volte? Fuori. Chi ha investito in Theranos? Rivediamo la lista. Chi ha occhi vitrei e pitchdeck da 80 slide? Probabile bot.

Il vero punto, però, è che Andreessen potrebbe anche avere ragione. L’AI forse non sostituirà i venture capitalist. Ma il mercato sì. E lo sta già facendo. Perché alla fine, se 9 su 10 VC fanno peggio di un roditore bendato, forse non è l’intelligenza artificiale a doverli rimpiazzare: è la statistica.

Nel frattempo, la Valle si dibatte tra la propria mitologia e il futuro che sta costruendo con le proprie mani. Un futuro in cui il capitale diventa liquido, l’analisi algoritmica, e l’intuizione umana un bug da debuggare.

Il risultato? Una nuova era in cui anche il brunch ha un algoritmo di scoring, e dove l’unico lavoro veramente al sicuro dall’AI… è quello già inutile da anni.

Hai già investito in un jellyfish fund?