Mentre la bara di Papa Francesco è ancora calda solo nei dibattiti metafisici, la Chiesa cattolica si trova davanti a un bivio di quelli che fanno tremare anche i confessionali più solidi del Vaticano. I cardinali stanno per chiudersi a chiave nella Sistina come in un reality show liturgico per decidere chi sarà il prossimo a indossare la bianca divisa del CEO spirituale di 1,4 miliardi di fedeli. Ma il vero interrogativo che agita sacrestie, think tank teologici e blog conservatori è uno: continuerà sulla strada aperta dal gesuita argentino o arriverà un “revisionista dottrinario” che cancellerà col turibolo anni di riformismo apparente?

Eh sì, perché e qui il cinismo è d’obbligo — nonostante i titoli roboanti e le dichiarazioni da copertina, Francesco, pur rivoluzionando il tono, non ha toccato una sola virgola del dogma. Aborto, eutanasia, celibato sacerdotale, omosessualità, donne prete: tutto ancora saldamente archiviato sotto il file “non se ne parla”.

Tuttavia, è innegabile che Jorge Mario Bergoglio abbia fatto tremare le mura leonine. Ha scoperchiato l’omertà sulla pedofilia clericale, ha smontato l’uso indiscriminato della messa in latino (con buona pace dei nostalgici del tridentino) e ha aperto il dibattito o almeno la porta alla benedizione delle coppie omosessuali. Ma soprattutto ha cambiato il linguaggio, lo stile, la narrazione. Ha usato la comunicazione come un’arma pastorale, sminando formalismi millenari con un semplice “Chi sono io per giudicare?”, frase che ha mandato in tilt server e sinodi.

Non a caso, la domanda più pressante che oggi si fanno dentro e fuori il Vaticano non è tanto “chi”, ma “in che direzione”. Il nuovo papa, ci dicono gli esperti, sarà chiamato a gestire sfide strutturali: crisi delle vocazioni in Europa, scandali infiniti sugli abusi, ruolo delle donne, e una demografia che si sposta verso Sud, tra Africa e Asia. Ma se la dottrina non cambia, allora tutto si gioca sul carattere, sul tono, sul posizionamento mediatico e geopolitico. In pratica, sulla brand identity del papato.

Martin Dumont, segretario generale dell’Istituto per lo Studio delle Religioni, lo dice chiaramente: ci vorrà qualcuno che parli meno, che gestisca meglio la comunicazione, che non intervenga su ogni questione globale come se fosse l’ONU con la croce. Francesco ha infatti parlato di tutto, dalla plastica negli oceani alla guerra in Ucraina, passando per Gaza e le migrazioni, attirandosi simpatie e critiche. Ma nessuno degli attori in gioco, da Netanyahu a Zelensky, pare aver preso appunti. Quando ha suggerito all’Ucraina di “alzare bandiera bianca”, l’effetto è stato diplomaticamente disastroso.

Il conclave si preannuncia quindi meno prevedibile di quanto certi numeri facciano credere. Sì, Francesco ha nominato l’80% dei cardinali votanti, ma nella Chiesa come nella politica le fedeltà non sono mai garantite. Lo dimostra il caso del cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa, promosso da Bergoglio ma oggi in prima fila contro la benedizione delle coppie gay. O come quei cardinali che si sentono traditi, racconta Mabille, da un papa che predicava collegialità ma che, secondo alcuni, abbandonava i suoi senza preavviso, come un HR manager di Amazon.

Il confronto con il conclave del 2005, quello post-Giovanni Paolo II, fa riflettere. Allora fu duello tra due colossi: Carlo Maria Martini, l’anima liberal, e Joseph Ratzinger, il custode della dottrina. Oggi invece non ci sono campi definiti, non ci sono linee chiare. Solo una mappa fatta di ambiguità, nostalgie e fratture sotterranee.

La Chiesa, insomma, è a un nuovo punto cieco. Non basterà un altro gesuita argentino per schivare il declino in Occidente, mentre il sud del mondo bussa con numeri, fervore e domande nuove. Il prossimo papa sarà più silenzioso, forse più manovratore, ma non necessariamente più conservatore o più progressista. Sarà, come sempre, una creatura del compromesso, ma il rischio è che si perda in una diplomazia che sa di gestione ordinaria più che di visione profetica.

Nel frattempo, il popolo dei credenti resta in attesa, tra speranza e scetticismo, mentre la curia prepara l’ennesimo passaggio di potere che, ancora una volta, non cambierà nulla e cambierà tutto.