C’è una narrazione sempre più hollywoodiana nel modo in cui OpenAI, il colosso supportato da Microsoft, sta promuovendo il suo progetto Stargate. E se il nome evoca già portali cosmici e salti quantici nella tecnologia, non siamo lontani dalla verità: l’ambizione è costruire un’infrastruttura globale per l’intelligenza artificiale da 500 miliardi di dollari, in una corsa strategica che unisce geopolitica, chip avanzati e una visione liberal-democratica che fa il verso, neanche troppo velatamente, alla Cina. Il piano è stato inizialmente presentato con grande teatralità alla Casa Bianca a gennaio, con il CEO Sam Altman, Masayoshi Son di SoftBank e Larry Ellison di Oracle al fianco di Trump, in un sipario che sa di Silicon Valley in trasferta elettorale.
Ad oggi, Stargate è poco più di un gigantesco scheletro digitale in costruzione in Texas, ad Abilene, ma OpenAI ha appena annunciato che il progetto è pronto per valicare i confini americani. Parliamo di un’espansione globale, con focus su alleati storici come Regno Unito, Germania e Francia, interessati a ospitare nuovi data center. Le intenzioni sono chiare: proiettare il dominio tecnologico americano oltre oceano, contrastare il modello autoritario della sorveglianza cinese e offrire una piattaforma AI costruita su principi democratici come il libero mercato, la libertà d’espressione e il rispetto della privacy. La retorica è impeccabile, quasi degna di un discorso da ONU. Ma la realtà, come sempre, è molto più sporca.
Il dettaglio più interessante è che OpenAI non sta finanziando tutto da sola. La parte americana vede SoftBank in cabina di regia per la raccolta fondi, ma i progetti esteri saranno co-finanziati da un mix eterogeneo: governi, fondi sovrani, private equity, capitale istituzionale. È il classico playbook da “capitalismo etico”, dove la governance pubblica serve a garantire l’accesso a chip di fascia alta — quelli americani, ovviamente — ma solo a chi accetta il patto faustiano con l’ecosistema USA. La chiave è l’accesso a semiconduttori avanzati, oggi soggetti a rigide restrizioni commerciali: i Paesi di “tier two” (India, Israele, Svizzera, Arabia Saudita, Emirati) possono solo sognare i chip di fascia alta prodotti da NVIDIA e co., a meno di integrarsi nel disegno americano.
Chris Lehane, VP Global Affairs di OpenAI e voce ufficiale dell’espansione, è stato abbastanza esplicito: “la collaborazione con Stargate potrebbe trasformare i partner esteri in beneficiari di tecnologie che oggi sono precluse per ragioni strategiche”. La traduzione è semplice: chi investe, chi si allinea, chi gioca secondo le regole americane, potrà avere in cambio i gioielli tecnologici della corona. Non è filantropia, è geopolitica mascherata da open innovation.
Non esistono ancora accordi formali firmati per la versione internazionale di Stargate, ma i colloqui sono già in corso. Il Regno Unito è in pole position, anche perché Londra da tempo cerca un ruolo strategico post-Brexit nella partita AI. E se tutto va secondo i piani, nei prossimi quattro anni vedremo una decina di impianti nascere fuori dagli Stati Uniti, ma sempre sotto la bandiera stellata della supremazia digitale americana. L’ironia è che OpenAI, nata come entità non profit, oggi guida un piano infrastrutturale da mezzo trilione di dollari che potrebbe ridefinire le alleanze globali.
La strategia ha un nome, un volto e un nemico. E quel nemico non è un competitor, è un modello alternativo di società. Non si tratta solo di AI, ma di quale ideologia digitale dominerà il mondo nel prossimo decennio.
Vuoi l’AI democratica? Preparati a firmare un assegno, a cedere un po’ di sovranità tecnologica e, ovviamente, a installare qualche container in mezzo ai campi.