Il mondo digitale, come ogni bar malfamato di Caracas, ha i suoi borseggiatori. Solo che qui non usano le mani, ma le notifiche. Quelle stesse notifiche che ti compaiono sullo smartphone alle tre di notte con promesse oscene di guadagni facili, antivirus miracolosi e principi nigeriani in cerca d’amore. Google ha deciso di affrontare questa fiera del click truffaldino con una mossa che sa di rivoluzione (ma con il solito retrogusto di controllo totale): Chrome su Android ora usa intelligenza artificiale on-device per analizzare le notifiche e sputtanare in tempo reale quelle truffaldine. Tutto questo, ovviamente, senza mandare nulla ai server centrali. Giurano.

La parola magica è Gemini Nano, una versione miniaturizzata dell’ormai onnipresente intelligenza artificiale di Google. Ma la vera keyword, quella che ci interessa per capire dove stiamo andando, è protezione automatica. Niente filtri da configurare, niente whitelist, blacklist, greylist o “machelist”. Il sistema lavora da solo, legge ogni notifica che arriva, la seziona come un chirurgo addestrato all’MI6 e decide, nel giro di millisecondi, se stai per essere fregato oppure no.

Sembra magia, ma è solo machine learning locale, condito con un bel po’ di strategia di sicurezza proattiva. E anche un filo di marketing, va detto, perché nella nuova epoca della privacy performativa, ogni azienda tech deve dimostrare che ti protegge senza spiarti. Quindi Google ha precisato che non legge le tue notifiche nei server, non le archivia, non le vende (almeno non queste). Il modello è addestrato con dati sintetici, generati da altri modelli, e poi affinato con esempi reali, classificati da umani. Insomma, una catena di montaggio dell’IA che sembra uscita da una distopia cyberpunk ben coreografata.

La cosa curiosa? Le notifiche fraudolente sono diventate il nuovo spam, quello che non arriva più via email ma si infila nella barra delle notifiche con la velocità di un’offerta Black Friday. E Chrome, che in passato si è fatto in quattro per evitare che certi siti ti martellassero di pop-up, ora estende la sua lotta anche a queste nuove forme di parassitismo digitale. Un’evoluzione quasi naturale: prima bloccavi i pop-up, poi i cookie, poi le notifiche abusive. Ora tocca all’abuso invisibile, quello che continua a perseguitarti anche dopo che hai chiuso il sito.

E qui entra in scena il dettaglio più interessante: secondo Google, un sito malevolo vive in media meno di 10 minuti. Più veloce di un ladro al semaforo. Il tempo che un sistema server-side impiega a intercettarlo, classificarlo e bloccarlo è troppo lungo. Serve un sistema che reagisca “sul momento”, sul dispositivo, come un cane da guardia in tasca. Da qui l’uso del modello locale, che non solo vede le cose come le vede l’utente, ma le vede quando le vede. Tempismo che farebbe invidia a James Bond.

Ma attenzione: non è che Google lo faccia per bontà d’animo. Questo è anche un esercizio di potere e controllo dell’ecosistema Android. La piattaforma è infestata da app, siti e servizi che cercano di usare le notifiche come strumento di marketing aggressivo o truffa diretta. Eliminare il problema direttamente nel browser significa centralizzare la sicurezza in casa Google, evitando che gli utenti si affidino ad app terze o, peggio ancora, si disamorino dell’intero sistema Android.

Naturalmente, per ora è tutto limitato ad Android. Perché lì succede il casino vero, lì è il terreno fertile per i truffatori digitali. Ma Google ha già fatto capire che, se funziona, questo sistema potrebbe estendersi ad altri ambienti. Chrome su desktop, ad esempio, è ancora vulnerabile alle stesse dinamiche, anche se con meno insistenza. Ma il principio è chiaro: l’intelligenza artificiale che veglia sulle tue notifiche potrebbe diventare la norma, non l’eccezione.

E poi c’è la questione privacy. Perché va bene l’AI sul dispositivo, va bene che non si manda nulla ai server, va bene che è tutto automatico. Ma alla fine dei giochi, stai pur sempre dando a un’azienda privata il potere di decidere cosa puoi leggere e cosa no. Una black box che giudica ogni tuo segnale in entrata e decide se sei al sicuro o no. Certo, meglio che farsi fregare da una notifica-trappola che ti installa malware o ti svuota il conto corrente, ma resta il fatto che stiamo affidando la sicurezza al medesimo ecosistema che ha creato il problema. Come se per combattere la mafia, ti affidassi a un clan rivale.

Il futuro delle notifiche, a quanto pare, non è più quello passivo. Sono diventate un terreno di battaglia, e l’AI il nuovo vigile urbano. Resta solo da capire se, una volta educato abbastanza, questo vigile inizierà a fischiare anche contro quelle notifiche “scomode” ma legittime. Tipo quelle dei concorrenti, o degli attivisti. Per ora no, ma la storia della tecnologia ci insegna che il confine tra protezione e censura è sempre labile, soprattutto quando è automatizzato.

Nel frattempo, godiamoci il paradosso: per evitare che una notifica ci freghi, lasciamo che sia una notifica – benedetta da Google – a decidere per noi. Come diceva un vecchio saggio al bancone di un bar: “La vera libertà è quando ti controllano così bene che nemmeno te ne accorgi.”