Google ha appena piazzato un colpo da maestro (o da illusionista, dipende da quanto sei cinico): i modelli Gemma, la loro linea di AI open-source “lightweight”, hanno superato i 150 milioni di download. Un numero che fa scena, attira le luci dei riflettori e fa impazzire le dashboard degli sviluppatori su Hugging Face, Kaggle, Colab e compagnia cantante. Ma prima di far partire la ola, respiriamo un attimo. Perché dietro il marketing ben oleato, c’è ben altro da dire.
Siamo nell’epoca dell’open-source AI usata come leva politica e strategica più che come ideologia di libertà digitale. Non stiamo parlando del vecchio Linux con l’alito di birra e gli occhi pieni di etica. Qui si parla di multinazionali da trilioni che si travestono da Robin Hood per conquistare mercati, sviluppatori, e dataset. Gemma è il costume di Google, elegante e apparentemente amichevole, ma con dentro tutta la macchina del colosso di Mountain View.
Gemma nasce come alternativa open alla linea proprietaria Gemini, il vero cavallo da corsa di Google DeepMind. Ma a differenza del fratello maggiore, Gemma è snella, scalabile e “democratica”. Può girare sul tuo laptop, può stare in una micro istanza su Colab, può far parte di un workflow serverless e persino finire embedded in un dispositivo edge. Il tutto condito da una licenza permissiva (ma non troppo) che consente uso commerciale, purché tu non sia uno che compete direttamente con loro. Ovviamente. Open, sì, ma fino a quando non diventi pericoloso.
L’architettura di Gemma segue la solita liturgia dei modelli Transformer LLM, ma la sua forza è nella sua modularità. Gemma 2B e 7B, ovvero le due varianti base, sono progettate per essere “plug-and-play” nell’ecosistema di AI engineering moderno. Pensi a un task di NLP, text classification, sentiment analysis, summarization o chatbots: Gemma lo fa. In alcuni benchmark, soprattutto quelli ottimizzati per efficienza vs potenza bruta, riesce pure a battere modelli più grandi come LLaMA 2 o Mistral, specie se si lavora in ambienti resource-constrained.
La sintassi semantica di Google è un’opera d’arte della guerra fredda tra big tech. Loro non dicono mai che ti stanno vendendo qualcosa. Ti “abilitano”, “potenziano”, “collaborano”. Ti danno potere. Salvo poi osservarti da vicino mentre usi i loro strumenti, nel loro cloud, nei loro ambienti sandbox, con i loro dataset, collezionando metadati su come pensi, cosa costruisci, e quanto sei vicino a fare concorrenza.
Se vuoi un’idea di quanto sia strategica la manovra, guarda dove stanno comparendo le integrazioni di Gemma. Hugging Face ci ha messo meno di 24 ore a integrarlo nel proprio Model Hub, Kaggle ti prepara già i notebook, Vertex AI lo supporta nativamente. Stanno costruendo un corridoio a senso unico: chi entra nel mondo Gemma, si troverà a dover usare altre API Google, altri servizi, altri lock-in travestiti da strumenti open.
C’è un altro aspetto quasi divertente: la comunicazione. Google annuncia 150 milioni di download come se fosse un trionfo dell’umanità, ma evita accuratamente di dire quante istanze uniche, quanti utilizzi attivi, e quanto reimpiego produttivo ci sia dietro quel numero. Scaricare ≠ usare, e usare ≠ costruire valore. È un po’ come se vendessi birre contando ogni volta che qualcuno apre il frigorifero.
Eppure funziona. Perché il mercato dell’AI open-source è diventato il nuovo petrolio etico, e ogni download è un proxy di potere culturale. Chi ha il modello più clonato, vince. Non serve nemmeno che sia il migliore. Serve che sia il più diffuso. E qui, Google sta giocando la stessa partita di Meta con LLaMA, di Mistral in Europa, e perfino delle startup tipo Together AI o Anthropic con i loro pseudo-aperti. Tutti fingono di mollare il controllo, mentre lo stringono più forte dietro le quinte.
La verità, quella che ti racconta un ingegnere dopo il secondo Negroni, è questa: oggi i modelli open sono come i vaccini distribuiti dalle potenze globali. Ti salvano, ma ti legano. E la tua scelta è solo tra quale impero vuoi servire mentre costruisci la tua AI. Ti senti più comodo con l’ecosistema Google? Vai di Gemma. Preferisci il mood da Meta hacker? LLaMA. Ti piacciono i francesi e l’indipendenza europea? Mistral. Ma il gioco è sempre lo stesso: la vera AI open-source non esiste, esiste solo quella “strategicamente redistribuita”.
Intanto, 150 milioni di download. Un numero che fa bene ai titoli dei giornali, che gonfia le presentazioni ai board degli investitori, e che tiene alta la tensione geopolitica tra Silicon Valley e Bruxelles.
Per chi fa AI seriamente, però, il vero dato interessante non è quanti scaricano Gemma, ma quanti lo patchano, lo riaddestrano, e lo usano fuori da Google. Se vedi che comincia a correre da solo, fuori dall’ecosistema Google, allora sì che hai un modello potente. Fino ad allora, è solo un altro cavallo ben sellato nel grande rodeo dell’intelligenza artificiale.