Shenzhen, una delle metropoli tecnologiche più influenti della Cina, ha recentemente lanciato un fondo interamente dedicato al settore dei semiconduttori, con una dotazione iniziale di 5 miliardi di yuan (circa 692,5 milioni di dollari). Questo fondo, chiamato Saimi (pronunciato “semi”, come i semiconduttori stessi), è gestito dalla Shenzhen Capital Group, un’agenzia statale, ed è un chiaro segnale del tentativo della città di rafforzare l’autosufficienza tecnologica del paese, in un contesto geopolitico teso, soprattutto con gli Stati Uniti. Sembra che Shenzhen stia preparando una partita ad alto rischio, ma sicuramente non una battaglia impari.

Il fondo Saimi si inserisce in una serie di mosse strategiche adottate da Shenzhen per sostenere il settore dei semiconduttori, cruciale per il futuro tecnologico della Cina. La fonte principale di capitali proviene dal fondo di guida municipale di Shenzhen e dal fondo di guida del distretto Longgang della città. I due principali partner finanziari, Shenzhen Capital Group e Shenzhen Major Industry Investment Capital, hanno un ruolo di leadership nel fondo. Nella sua fase iniziale, il capitale sottoscritto ha raggiunto i 3,6 miliardi di yuan, con la municipalità di Shenzhen che detiene una quota di maggioranza del 69,4%.

Il fatto che la capitale iniziale del fondo provenga in gran parte da risorse pubbliche non è un caso. Shenzhen, infatti, ha da tempo adottato una politica industriale aggressiva, utilizzando il capitale pubblico per sostenere settori strategici come i semiconduttori. Non è solo una questione di “aiutare le aziende locali”; è una risposta diretta alle sfide imposte da una guerra tecnologica che rischia di compromettere la posizione della Cina sul palcoscenico mondiale. Questo approccio mirato all’industria dei semiconduttori non è certo una novità. Nel 2024, la città aveva già istituito 38 fondi legati ai circuiti integrati (IC), con un valore complessivo che superava i 100 miliardi di yuan, con altri fondi in fase di lancio, tra cui uno del valore di 10 miliardi di yuan.

Un esempio concreto di come Shenzhen stia utilizzando questo fondo per supportare l’industria è SiCarrier, un produttore di attrezzature per semiconduttori con legami con Huawei. SiCarrier ha attirato l’attenzione a marzo durante un’importante fiera del settore, dimostrando come il capitale di Shenzhen stia dando una spinta significativa a nuove realtà emergenti nel campo dei semiconduttori. Inoltre, il sostegno non si limita a nuove iniziative; Shenzhen ha contribuito anche alla creazione di linee produttive per colossi come Semiconductor Manufacturing International Corp (SMIC) e China Resources Microelectronics, aziende che rappresentano una parte fondamentale della filiera dei semiconduttori in Cina.

Le mosse di Shenzhen fanno parte di una strategia più ampia che coinvolge altre grandi città cinesi, come Shanghai, che ha istituito nel 2024 la terza fase del suo fondo per l’industria dei semiconduttori, con un capitale registrato di 530 milioni di yuan. Shanghai ha anche in programma la creazione di un “fondo di fondi” da 100 miliardi di yuan, destinato a settori strategici tra cui intelligenza artificiale, biotecnologie e semiconduttori. Non è un caso che queste mosse coincidano con l’escalation delle tensioni geopolitiche con gli Stati Uniti: la Cina sta cercando di garantirsi una posizione indipendente nei settori tecnologici cruciali, mirando a ridurre la dipendenza dalle forniture estere, in particolare dagli Stati Uniti.

Le cifre sono impressionanti. Il Big Fund, il fondo statale cinese per i semiconduttori, ha lanciato nel 2024 la sua terza fase con un capitale di 344 miliardi di yuan, un’enorme iniezione di liquidità per sostenere la crescita e l’innovazione nel settore. Questo tipo di investimenti non è solo una risposta a esigenze interne, ma anche una mossa strategica sullo scacchiere globale, dove la Cina cerca di ridurre il gap con i leader tecnologici occidentali.

Ma c’è una domanda che sorge spontanea: questo modello, basato su fondi pubblici e politiche industriali mirate, funzionerà davvero? La Cina è in grado di costruire una vera autosufficienza tecnologica, o si troverà presto a dover affrontare il muro delle limitazioni tecnologiche imposte dalle potenze occidentali? In un settore come quello dei semiconduttori, dove la tecnologia è in continua evoluzione e le competenze sono altamente specializzate, diventa sempre più chiaro che non basta semplicemente avere i soldi per sostenere un’industria, bisogna anche attrarre e formare talenti. Il capitale è importante, ma la vera sfida è creare un ecosistema che consenta alle aziende locali di competere sul piano globale.

La Cina ha le carte in regola per affrontare questa sfida? La risposta probabilmente risiede in una combinazione di fattori: investimenti mirati, politiche industriali efficaci e, soprattutto, una continua innovazione. Se Shenzhen riuscirà a mantenere il passo con le tecnologie emergenti e ad attrarre nuovi talenti, potrebbe realmente diventare un leader nel settore dei semiconduttori. E se non dovesse riuscirci, beh, potremmo assistere alla consueta politica della “corsa agli armamenti”, dove i soldi si riversano in fondi e incentivi senza mai dare frutti tangibili.

In ogni caso, il messaggio è chiaro: la Cina non intende essere una spettatrice passiva nella guerra tecnologica globale. E, come spesso accade, la mossa più astuta potrebbe essere proprio quella di puntare su risorse interne, consapevoli che la geopolitica oggi si gioca anche su questo terreno.