La scena è questa: CEO sorridenti, slide patinate, titoli altisonanti. “AI-first company.” “Intelligenza artificiale trasformativa.” Il solito teatrino da corporate America. Applausi, conferenze stampa, magari anche un’intervista su Bloomberg. Peccato che sotto la superficie ci sia il vuoto cosmico. E non quello stimolante dei buchi neri, ma proprio l’assenza totale di visione, coraggio, e soprattutto competenza.
Generative AI, parola magica del decennio, è già diventata l’ennesima occasione sprecata da manager incapaci, consulenti da 5 milioni di dollari e project leader convinti che “prompt engineering” sia una scienza esatta. Invece è fuffa, nella maggior parte dei casi. E la fuffa, quando è generata su scala industriale, diventa tossica.
I numeri non mentono, ma sembrano scritti da un comico cinico in un bar alle 2 di notte (il nostro per fortuna è chiuso). Il 70% dei progetti GenAI fallisce. Il 60% non raggiunge il ROI atteso. Il 50-70% delle risposte dei LLM sono inventate o errate. Eppure, continuiamo imperterriti a iniettare GPT ovunque, come se fosse il lubrificante universale dell’efficienza aziendale.
Il problema? L’IA non è uno strumento. È un ecosistema instabile, una mutazione continua che richiede cultura, controllo qualità, governance, supervisione umana seria. Cose che, ovviamente, mancano quasi ovunque. Abbiamo sostituito le checklist ISO con dei prompt mal scritti da stagisti. E quando i documenti legali, le diagnosi mediche, i report finanziari cominciano a diventare errori su errori, il rischio reputazionale esplode.
Il dato più surreale? Il 69% dei CEO oggi teme danni reputazionali dall’uso scorretto dell’AI. Non temono di non capirla. Non temono di investirci troppo o troppo poco. Temono che qualcosa vada storto. Tradotto: non sanno cosa stanno facendo, ma sanno che qualcuno poi pagherà il conto. Indovina chi?
Un tempo si diceva “nobody ever got fired for buying IBM.” Oggi potremmo dire: “nessuno si è mai preso la responsabilità per un progetto AI fallito, perché era troppo hype per fallire.” Intanto la qualità del lavoro crolla, l’affidabilità si dissolve, e si afferma una nuova religione: l’automazione cieca.
Il mantra che ci hanno venduto — più produttività, meno errori, più efficienza — è già morto e sepolto. Gli early adopter hanno scoperto che l’AI genera complessità operativa, non semplificazione. Che integrare GPT in un flusso significa impazzire dietro hallucinations, bias, incoerenze, e debugging infinito. Il bello è che i nuovi modelli, quelli più grossi, più lenti, più costosi, sbagliano di più. È come se ogni nuova release fosse una nuova stagione di una serie TV: più trama, meno senso.
Nel frattempo, nei boardroom si festeggia per l’ennesima “trasformazione digitale” riuscita sulla carta. Consulenti felici, CFO che strizzano i margini, HR che tagliano con l’accetta grazie all’automazione. Ma il capitale umano? Quello che dà senso, contesto, valore? Distrutto, marginalizzato, licenziato. Cosa resta? Output sintetici, decisioni sbagliate, crisi in arrivo.
La verità è semplice: Generative AI, così com’è implementata oggi, non aumenta il valore del lavoro. Lo svilisce. Sostituisce la profondità con la velocità, l’intuizione con la probabilità statistica. E quando il sistema si rompe — perché si romperà — le aziende scopriranno che senza pensiero critico, senza verifica, senza responsabilità, la loro “AI transformation” è un castello di carte costruito su sabbie mobili.
Non serviva una rivoluzione. Bastava intelligenza, quella vera. Bastava capire che un modello predittivo non è onnisciente, che l’automazione non è un fine ma un mezzo, e che nessuna tecnologia può sostituire leadership, cultura, e attenzione maniacale alla qualità.
Ma invece abbiamo scelto la scorciatoia. E come diceva Zevon, “send lawyers, guns, and money — the sh*t has hit the fan.”
Curiosità da bar dei daini? Il 2024 sarà l’anno in cui la maggior parte delle aziende realizzerà di aver comprato una Ferrari per fare consegne di pizza. Ma ormai è troppo tardi: il pilota non sa guidarla, la pizza è fredda, e il cliente ha lasciato una stella su Trustpilot.
Qual è la tua prossima mossa in azienda? Intanto leggiti:
OpenAI, “GPT-4: Hallucination Rates in Generative Models,” 2023.
McKinsey & Company, “State of AI in Business: 2024,” McKinsey, 2024.
Deloitte, “AI Adoption in Enterprise: The Next Phase,” 2024.
Accenture, “AI and Business Impact: The Trust Challenge,” 2024.
Gartner, “AI Project Failures: The Road to Uncertainty,” 2024.
Stanford University, “Hallucinations and Inaccuracies in Generative AI Models,” 2023.