L’America ha appena partorito il suo mostro legislativo più distopico, ed è così orgogliosa da metterci un nome da spot pubblicitario anni ‘90: “One Big Beautiful Bill”. Bello? Forse per chi lo ha scritto, votato e sponsorizzato con un sorrisetto di plastica da fondo schiena. Per il resto del paese e per chi guarda da fuori è un colpo di grazia alla sovranità digitale, alla tutela ambientale, ai diritti civili e al buon senso.
Alla Camera, i Repubblicani l’hanno approvato con una maggioranza risicata e l’appoggio inequivocabile del solito fantasma di Mar-a-Lago. Ora tocca al Senato. Ma già si annusa la tensione fra i falchi conservatori che, a tratti, sembrano ancora ricordarsi cos’è il federalismo.
Cominciamo dalla portata principale: l’abolizione temporanea di qualsiasi controllo statale sull’intelligenza artificiale. Sì, avete capito bene: per i prossimi dieci anni, se passa questa bellezza, gli Stati non potranno legiferare su AI, sistemi automatizzati, algoritmi che decidono chi riceve un prestito, chi viene sorvegliato, chi viene assunto o licenziato. E non parliamo solo di AI come ChatGPT o Midjourney il testo include un’ampia definizione di “automated decision systems”, che potrebbe includere tutto, dal software usato per assegnare posti nei parcheggi ai filtri anti-spam.
L’argomento dei sostenitori? Lasciare campo libero all’innovazione americana, per “tenere il passo con la Cina”. Roba già sentita: il libero mercato come divinità assoluta che tutto può e tutto sa. Come se le Big Tech avessero bisogno di ulteriori scappatoie normative dopo due decenni di monopolio informativo e fiscale. Il sapore è quello di una deregulation mascherata da patriottismo. Un po’ come dire che togliere il casco ai motociclisti stimola l’evoluzione della specie.
La chicca? È stato OpenAI stesso a spingere per l’idea. Ma davvero vogliamo che le stesse aziende che non riescono a definire se i loro modelli sono “general purpose” o “sistemi ad alto rischio” dicano al Congresso come normare l’intelligenza artificiale? Il lupo che disegna le regole per il pollaio.
Non tutti i Repubblicani, però, sono allineati. Marsha Blackburn si è svegliata per difendere la legge del Tennessee sulla tutela delle voci dei musicisti perché il diritto di non essere trasformati in deepfake da morti è sacrosanto, almeno finché non si parla di gay, trans o migranti. Josh Hawley, nel suo eterno cosplay da populista anti-establishment, ha ricordato che magari, in una federazione, gli Stati dovrebbero avere il diritto di provare approcci diversi. Ma va?
Nel frattempo, la norma potrebbe infrangersi sullo scoglio tecnico della Byrd Rule, che impedisce a un disegno di legge di bilancio di includere “elementi estranei” alla materia fiscale. Ma chi ci crede più alle regole, quando l’obiettivo è trasformare l’AI in un far west regolamentare?
Passiamo al secondo piatto del banchetto: la mutilazione fiscale dell’energia pulita. Il credito d’imposta da $7.500 per le auto elettriche? Addio. Il sostegno alle rinnovabili previsto dall’Inflation Reduction Act? Tagliato. Persino il credito per installare infrastrutture domestiche di ricarica viene spazzato via, giusto in tempo per garantire che la transizione energetica diventi un’altra promessa svanita nel fumo delle lobby petrolifere.
È come se la Silicon Valley potesse far tutto, ma solo se lo fa alimentata a gasolio. Perché modernizzare la produzione AI con data center alimentati a carbone è la nuova frontiera del progresso secondo questo pacchetto legislativo. Si sventola il vessillo dell’innovazione, mentre si bruciano i cavi della sostenibilità.
La sezione dedicata alla protezione del consumatore è un’altra picconata all’idea stessa di Stato sociale. La Consumer Financial Protection Bureau già azzoppata dal nuovo Dipartimento dell’Efficienza Governativa, ribattezzato con acronimo canino: DOGE vedrà il suo budget limitato al 5% delle spese operative della Federal Reserve, rispetto al 12% attuale. Tradotto: meno soldi per indagare su frodi bancarie, tassi usurai, clausole truffaldine nei contratti dei prestiti digitali. Ma chi ha bisogno di protezione quando si ha “fiducia nel mercato”?
Poi c’è la porzione muscolare e muscolinica del disegno di legge: tecnologia al confine. Dodici miliardi per rimborsare gli Stati che “difendono” il confine, quarantasei per modernizzare il Muro con il Messico, e altri miliardi per radar, droni, torri di sorveglianza, sensori e comunicazioni “migliorate”. C’è chi investe nell’educazione AI, chi nella medicina quantistica, e chi in tunnel detection e aerei senza pilota per controllare i cactus nel deserto di Sonora.
E infine, come in ogni pacchetto legislativo che si rispetti nel 2025, non poteva mancare l’attacco all’identità di genere. Dal 2027, i piani sanitari venduti sull’ACA non potranno coprire trattamenti di affermazione di genere. Tradotto: ormoni e chirurgie vietate, ma la detransizione sarà invece coperta. È l’unico caso in cui il governo decide di sovvenzionare la medicina purché serva a negare un’identità.
È tutto perfettamente logico. Si abolisce la regolazione dell’AI in nome del libero mercato, si abbattono le energie verdi per salvare ExxonMobil, si investe nella sorveglianza di massa mentre si taglia la burocrazia che protegge il cittadino. E si cancella la medicina inclusiva mentre si grida “libertà!” col pugno sul cuore. È la nuova dottrina: corporate liberty, citizen discipline.
Però tranquilli: il Bill è “Beautiful”. Come quelle insegne al neon degli strip club di Las Vegas. Luminose, seducenti, e sempre pronte a fregarti il portafoglio.