Ci sono momenti in cui la tecnologia fa un passo avanti così teatrale da sembrare una provocazione. Questa è una di quelle occasioni: Microsoft ha appena inserito un generatore video AI nella sua app Bing, e lo ha fatto con la nonchalance di chi regala una caramella a un bambino sapendo che dentro c’è un microchip.

Il nome, Bing Video Creator, suona più come una funzione marginale che come un punto di svolta epocale. Ma sotto questa etichetta banale si nasconde Sora, il modello text-to-video di OpenAI che ha fatto tremare le fondamenta del content marketing, della pubblicità, dell’informazione e più silenziosamente dell’immaginario collettivo. E ora è nelle tasche di tutti. Gratis. O almeno, sembra.

L’intelligenza artificiale che una manciata di mesi fa era l’oggetto di desiderio esclusivo dei creativi paganti di ChatGPT Plus, ora è diventata fast food cognitivo per chiunque abbia un iPhone o un Android con Bing installato. Democratizzazione? Forse. Ma è una democrazia con una lunga coda di raccolta dati, engagement metrics e abitudini di consumo.

Sì, puoi creare video da cinque secondi inserendo una semplice frase nella barra di ricerca. Sì, puoi vederli apparire nel palmo della mano come se nulla fosse. Sì, puoi persino accelerare la generazione dei video con una “modalità Fast” che, guarda caso, non è esattamente illimitata. Dopo dieci clip, scatta il gettone, o meglio: i Microsoft Rewards Points. Una nuova valuta emozionale costruita sulle abitudini digitali. In altre parole, se clicchi abbastanza, potrai ottenere ancora un po’ di magia. Se non lo fai, benvenuto nella coda degli utenti Standard.

Ora, la qualità dei video? Beh, non proprio Hollywood. Le demo mostrano una lontra chef e un criceto con una scopa — due esperimenti surreali, teneri, ma con un senso del movimento che ricorda gli errori di una beta di videogame. I personaggi oscillano tra il cartoon e il disturbing, tra il Pixar fallito e il sogno psichedelico di un algoritmo ancora adolescente.

È qui che si annida la vera dissonanza cognitiva. Microsoft si affretta a precisare che i video sono “generati da Sora”, eppure sembrano più simili a quelli usciti da una versione ridotta, semplificata, “nerfata” del modello reale. E chi ha avuto accesso diretto a Sora dopo il suo lancio nel dicembre 2024 lo sa: le clip promozionali di OpenAI erano raffinate fino all’eccesso. La versione Bing, invece, mostra il modello nella sua forma più cruda e probabilmente più autentica.

Questa discrepanza solleva una domanda non banale: che razza di “libertà creativa” ci stanno offrendo, esattamente? Perché la sensazione è che Microsoft non voglia davvero dare in pasto Sora al pubblico, ma piuttosto servire una sua versione “safe”, addomesticata, ideologicamente filtrata e tecnicamente castrata.

Del resto, questo non è più un gioco di tecnologia. È un gioco di posizionamento strategico. L’integrazione di un sistema video AI nella barra di ricerca significa una cosa sola: la search experience sta diventando contenuto attivo, generato e rigenerabile. In tempo reale. Ogni prompt diventa un seme. Ogni video, un’esca. Ogni utente, una cavia inconsapevole nella nuova fase di testing comportamentale. E dietro l’apparente innocenza del “crea un video di un gatto che suona il piano”, si intravede la logica di una guerra a lungo termine.

Questa mossa non riguarda solo la creatività. Riguarda il futuro della search, dell’engagement e, per essere più diretti, della pubblicità. Perché chi controlla i video, controlla l’attenzione. E chi controlla l’attenzione, può cominciare a manipolare il significato di “domanda”. Immagina un motore di ricerca che ti risponde con un video emozionale invece che con un link. Un motore di ricerca che ti intrattiene mentre raccoglie dati biometrici dalla tua reazione. Un motore di ricerca che ti fa sentire partecipe, quando in realtà ti sta solo posizionando nel funnel pubblicitario.

Microsoft, nel frattempo, canta la ballata della “creatività accessibile”. Ma la parola “accessibile”, nel contesto di un sistema AI chiuso, scalabile solo tramite reward points o abbonamenti, suona più come un eufemismo per “controllato”. E ciò che sembrava un regalo potrebbe essere un cavallo di Troia in formato 9:16.

Interessante poi che il formato orizzontale, 16:9, non sia ancora disponibile. Una scelta tecnica o una strategia deliberata per restare nel territorio TikTok, Reels, Shorts? Più che una limitazione, è una dichiarazione d’intenti. Il futuro della search sarà scrollabile, breve, effimero e verticale. Esattamente come i nostri livelli di attenzione.

“Bing Video Creator rappresenta il nostro impegno per democratizzare il potere della generazione di video tramite intelligenza artificiale”, dicono. Più che un impegno, suona come una minaccia ben vestita. Perché quando l’AI genera immagini, parole e ora anche video, a comando, ci stiamo spostando da una società del contenuto a una società del prompt. E in questa società, la linea tra creazione e consumo si sfuma fino a sparire. Tutti creatori, nessun autore.

“Trasformare le parole in meraviglia”. Certo. Ma chi decide quale meraviglia sia lecita? E chi decide quanto dura? Cinque secondi, pare. Poi si torna a scrollare.