Immagina che Mark Zuckerberg si presenti a un summit militare con una versione “patriottica” del suo chatbot Llama, addestrato non con meme di Instagram ma con scenari da guerra elettronica. Aggiungi a questo un assegno potenziale da oltre 10 miliardi di dollari per una startup che fino a ieri sistemava dataset come uno stagista ossessivo-compulsivo, e hai il quadro surreale — ma del tutto reale — di quello che sta succedendo tra Meta e Scale AI.
In un’epoca in cui le Big Tech fingono ancora di voler salvare il mondo mentre fanno accordi da retrobottega con il Pentagono, Meta ha deciso di uscire allo scoperto, abbracciando Scale AI come il partner perfetto per la sua visione di un’AI che non solo parla fluentemente millennial, ma può anche indossare un elmetto da combattimento.
Zuckerberg, che ormai non fa mistero di voler trasformare Meta in una powerhouse dell’AI generativa, ha rotto la sua regola aurea: non investire fuori casa. Fino a oggi, aveva puntato tutto sullo sviluppo interno, affidandosi al suo esercito di ingegneri e al dogma dell’open source. Ora, però, se il gioco si fa militare, serve un alleato con esperienza sul campo. Letteralmente.
Scale AI, fondata nel 2016 da Alexandr Wang — uno di quei prodigi che Silicon Valley sforna con lo stesso ritmo con cui altri luoghi producono burocrati — ha costruito la sua fortuna etichettando dati con precisione chirurgica. Lo faceva quando nessuno prendeva sul serio il concetto di data labeling come carburante della nuova rivoluzione industriale. Oggi, con una valutazione che flirta coi 25 miliardi di dollari, si sta trasformando in una struttura chiave dell’infrastruttura AI americana. Altro che Google Search: qui si parla di data supremacy.
Il tempismo è perfetto: il mondo si è reso conto che l’AI generativa senza dati puliti è come una Ferrari senza benzina. E Scale ha le chiavi del distributore.
La vera ironia, però, sta nella forma del possibile investimento: Meta non ha un cloud, non ha data center da rivendere in abbonamento stile AWS o Azure, non può offrire compute credits da 3 milioni di TPU a settimana come Amazon o Microsoft. Quindi cosa offre, esattamente? Forse denaro puro, forse accesso alla sua base utenti, forse visibilità normativa — oppure una porta d’accesso definitiva al comparto difesa.
Perché nel mezzo di questa danza a tre — dove Scale AI già lavora con OpenAI e Microsoft — entra anche il grande spettro del military AI. Defense Llama, il nome stesso sembra una battuta da Saturday Night Live. E invece è il prototipo di un sistema di linguaggio naturale addestrato non per scrivere poesie, ma per supportare strategie da campo. Roba che a leggere certi white paper sembra di tornare alla DARPA degli anni ’80, ma con meno segretezza e più comunicati stampa patinati.
Zuckerberg, intanto, ha già promesso 65 miliardi di spesa per l’AI nel 2025, una cifra che fa sembrare le manovre finanziarie dei governi europei un gioco di Lego. Il che pone una domanda fondamentale: perché Scale? Perché ora?
La risposta è brutale nella sua semplicità: data is power, e Scale controlla una pipeline di dati etichettati che farebbe gola persino alla NSA. Ma c’è di più. C’è la sinergia, la convergenza geopolitica, la logica bellica. Scale è uno degli asset chiave in quella che potremmo chiamare senza esagerare la “AI Cold War”. E Meta vuole salire sul carro, prima che sia troppo tardi.
In questa partita, ogni gigante tech ha scelto la propria AI bride: Microsoft con OpenAI, Amazon con Anthropic, Google con DeepMind (che ormai è più un braccio armato che un laboratorio). Meta aveva solo sé stessa. Fino a oggi.
Se questa operazione si concretizzerà — e non sarà semplice tra controlli antitrust, gelosie incrociate e regolatori nervosi — cambierà gli equilibri dell’AI mondiale. Perché segnerà il passaggio da una Meta narcisisticamente open, a una Meta imperialista, che non si limita a rilasciare modelli, ma costruisce interi ecosistemi, da WhatsApp a Washington.
D’altronde, quando Alexandr Wang ha iniziato con Scale, l’idea che il labeling potesse diventare un atto di politica industriale sembrava fantascienza. Ora è geopolitica pura. E Zuckerberg lo sa bene.
“La qualità dell’AI dipende dalla qualità dei dati”, ripetono gli ingegneri come un mantra. Ma la verità più inquietante è che chi controlla quei dati può, volendo, controllare anche il narrative engine del mondo.
E Meta, che già controlla l’immaginario collettivo digitale di metà pianeta, sta solo completando il puzzle.
Chiamatela conquista o corteggiamento da 10 miliardi, ma ricordatevi: ogni linea di codice generata domani potrebbe iniziare con un dataset etichettato oggi… da qualcuno che lavora per Scale AI. E forse, anche per Zuck.