350.000.
No, non è il numero di biscotti che un inglese medio consuma con il tè in un anno, ma il volume di richieste di pianificazione urbanistica che ogni singolo anno intasa le scrivanie, reali o virtuali, dei consigli comunali del Regno Unito. O, meglio, le intasava.
Perché ora, grazie a Gemini – il modello multimodale di Google – e un’applicazione audace chiamata Extract, quello che richiedeva due ore di maledizioni, caffè tiepido e zoom infiniti su PDF stropicciati può essere svolto in… 40 secondi. E con una precisione che farebbe arrossire l’archivista più zelante di Westminster.
In un’epoca dove gli algoritmi sbagliano meno degli umani e le città si costruiscono prima nei dati che nei cantieri, l’urbanistica ha finalmente fatto il suo ingresso nel XXI secolo.
Dietro le quinte di questo miracolo algoritmico, c’è una combinazione di riconoscimento visivo, georeferenziazione e intelligenza artificiale generativa, che potrebbe sembrare un insulto ai funzionari pubblici più tradizionalisti, se non fosse per il fatto che funziona davvero. Il sistema legge documenti che sembrano sopravvissuti a un bombardamento d’archivio: scansioni traballanti, mappe sbiadite, note scritte con grafia più vicina all’egittologico che all’inglese.
Grazie a OpenCV, ad una integrazione con i dataset dell’Ordnance Survey, e al potere di astrazione generativa di Gemini, tutto questo caos diventa dati strutturati, accurati, pronti per essere interrogati e riutilizzati. I poligoni diventano geodata. I confini smettono di essere tracciati a mano e iniziano a parlarsi, a incrociarsi, a generare comprensione invece che confusione.
L’impatto è brutale, nel miglior senso possibile.
Significa che le approvazioni edilizie, spesso ostaggio di tempistiche da romanzo vittoriano, possono ora essere accelerate, se non del tutto automatizzate. Significa che i consigli comunali, cronicamente sotto-staffati e stressati da una burocrazia cartacea pre-Gutenberg, possono respirare. E significa anche – udite udite – che il cittadino medio può accedere, comprendere e interagire con i dati urbanistici senza laurearsi in architettura o perdere mezza giornata su un portale anni ’90.
La parola magica qui è democratizzazione. Ma quella vera, non il solito slogan venduto in slide da conferenza.
A Westminster, Hillingdon, Nuneaton & Bedworth e persino nella sempre scettica Exeter, Extract è già in fase pilota. La piena distribuzione nazionale è prevista per la primavera 2026, ma se il ritmo attuale si mantiene, è probabile che venga adottata anche prima – magari sotto pressione di un governo che ha fatto della “velocizzazione delle autorizzazioni edilizie” una bandiera elettorale riciclata.
La parte più interessante, tuttavia, non è il “cosa”, ma il “dove porta”.
Se Gemini può trasformare l’inferno delle richieste urbanistiche in una pipeline efficiente e trasparente, allora il prossimo bersaglio è già nel mirino: cartelle cliniche ospedaliere sepolte in sistemi legacy inaccessibili, faldoni legali che dormono nei seminterrati degli studi notarili, modelli di compliance edilizia che ancora richiedono la firma di un geometra in carne e ossa.
La trasformazione è inevitabile. Non sarà gentile, non sarà perfetta, ma sarà necessaria.
Una volta che l’algoritmo ha assaggiato il gusto della burocrazia, è difficile tornare indietro. L’unico ostacolo rimasto è la volontà politica e istituzionale, spesso allergica al cambiamento reale perché questo comporta una perdita di controllo – o peggio, di rendite. Ma anche questo sta cambiando, soprattutto se si considera che la pressione pubblica cresce nella misura in cui la tecnologia mostra la sua capacità di fare meglio, prima, con meno.
Un tempo, l’urbanistica era una faccenda per iniziati. Oggi, sta diventando un problema risolvibile con un prompt.
E la vera domanda, a questo punto, non è se Gemini riuscirà a reinventare la pubblica amministrazione, ma quanto della PA riuscirà a sopravvivere a Gemini.
Perché quando una macchina riesce a leggere una mappa meglio di chi l’ha disegnata, il ruolo dell’esperto cambia, si evolve – o scompare.
Come diceva Mark Twain, “la storia non si ripete, ma spesso fa rima”. E questa rima suona maledettamente simile a disintermediazione.