Tim Cook dovrebbe sedersi. Magari con un buon bourbon in mano, mentre guarda in silenzio la schermata dorata del nuovo Trump Phone, che promette miracoli siliconici patriottici. Altro che Cupertino: qui siamo nella Silicon Valley parallela dove l’onshoring non è una strategia industriale, ma una dichiarazione di guerra economica. E dove, attenzione, il jack per le cuffie è sopravvissuto.

Ecco l’assurdo paradosso in pieno stile 2025: mentre Apple spende miliardi tra lobbying, catene di fornitura decentrate e fabbriche taiwanesi travestite da texane, i figli di Donald Trump – quelli con la capigliatura da Wall Street anni ‘80 e lo sguardo da spot del dentifricio – lanciano un superphone “disegnato e costruito negli Stati Uniti” a 499 dollari. Con una fotocamera da 50 megapixel, 256 gigabyte di memoria e, lode agli dèi dimenticati, un jack audio.

A questo punto, la vera notizia non è il prodotto in sé – probabilmente un rebrand di un device asiatico con cover placcata oro – ma il modo in cui la tecnonarrativa trumpiana ha bypassato vent’anni di retorica globalista con un clickbait esistenziale: Può Trump fare ciò che Apple non osa nemmeno tentare?

Sul piano strettamente tecnico, l’ipotesi che questo telefono sia realmente “Made in USA” come suggerito, è vicina alla fantascienza. Secondo i dati attuali della FTC, esiste un solo smartphone che possa vantare quel bollino senza paura di denunce: costa 2.000 dollari, ha meno memoria e una fotocamera peggiore. A meno che non si stia parlando di un miracolo manifatturiero alla Elon Musk senza razzi. E anche in quel caso, la contabilità creativa sarebbe d’obbligo.

Ma qui l’hardware è solo il contorno di una narrazione più grande, quella che tocca le corde profonde della identità americana digitale, una materia che Apple ha accuratamente evitato di manipolare. Per anni, Cook ha parlato di privacy come diritto umano, ha fatto il giro dei think tank europei, e ha piantato bandierine etiche in ogni angolo del mondo. Ma non ha mai dato all’America profonda un telefono che potesse chiamare suo.

Trump sì. O almeno ci prova.

Il “Trump Mobile” è il McDonald’s della telefonia: abbordabile, riconoscibile, e soprattutto ideologico. Se Apple è l’oggetto di culto dei laureati in ingegneria con tatuaggi minimali e post su Medium, il Trump Phone è il telefono che puoi usare mentre ascolti country FM in un Ford F-150, senza sentirti in colpa. Il tutto con un servizio cellulare marchiato “Patriot Mobile” – sì, esiste davvero – che promette piani telefonici pensati per “gente vera”.

Sembra uno sketch del Saturday Night Live, e invece è strategia di branding 5D. Perché mentre Apple si dibatte tra la neutralità geopolitica e la voglia di riportare parte della produzione in Arizona, la famiglia Trump ha colto al volo il momento di caos industriale per colmare un vuoto: quello del tech conservatore, il cui unico vero portabandiera finora era stato… Truth Social.

A scanso di equivoci, il Trump Phone probabilmente è assemblato in qualche hangar tra Shenzhen e Guadalajara, con specifiche montate da OEM cinesi e firmware Android modificato. Ma il punto non è dove è stato costruito, bensì come viene percepito: “Costruito in America” è diventato un claim narrativo, non una certificazione.

E qui entra in gioco Apple. Non perché debba scendere al livello della propaganda trumpiana, ma perché da troppo tempo ignora la crescente fame di tecnologia radicata, localizzata, connotata culturalmente. L’universo post-pandemico ha rivelato l’instabilità profonda delle catene di fornitura globali, e le “fabbriche fantasma” statunitensi come quella di TSMC in Arizona – costosa, in ritardo e con tecnici asiatici mandati in soccorso – sono la prova di un bluff ideologico: l’onshoring non si improvvisa, ma si racconta bene. I figli di Trump l’hanno capito.

Quindi no, non è un telefono. È una provocazione. E una lezione.

Perché nel 2025, la tecnologia non è solo performance o design: è ideologia compressa in un blocco di alluminio e vetro. E se Apple non vuole perdere il treno dell’identità industriale, dovrebbe forse cominciare a guardare meno alla Corea e più al Kentucky.

Curiosità finale? Se compri oggi un Trump Phone, puoi scegliere una cover con l’aquila americana oppure la bandiera Gadsden, quella col serpente “Don’t Tread on Me”. Nessun notch, niente Face ID, ma un chiaro messaggio in codice: questo telefono non è woke.

Apple, ora tocca a te.