
Non si tratta più di “se”, ma di “quanto” manca al prossimo scoppio. Il Medio Oriente è, di nuovo, sull’orlo del baratro. Ma stavolta lo scenario è più cupo, più globale, più carico di follia nucleare e presidenze imprevedibili. Sei giorni di guerra aperta tra Iran e Israele, e l’ex presidente Trump, l’uomo delle frasi a effetto e degli impulsi compulsivi, ha appena chiesto una “resa incondizionata” all’Ayatollah Khamenei. Con tanto di minaccia online: “Sappiamo dove sei, ma non ti uccideremo. Per ora.”
Pausa drammatica. Che fine ha fatto la diplomazia?
Nel giro di poche ore, il tono è passato dalla deterrenza alla dichiarazione di superiorità imperiale. Con uno stile da vecchio western americano, Trump brandisce Twitter (di nuovo, perché ovviamente è tornato) come una pistola puntata sul mondo. Ma questa volta la posta non è solo il Medio Oriente. È la stabilità del sistema internazionale.
Israele ha colpito duramente le infrastrutture nucleari iraniane. Teheran ha risposto lanciando missili sulle città israeliane. Nessun proxy, nessuna ambiguità strategica: qui si parla di attori statali che si colpiscono direttamente. E nel mezzo, un’America che, pur senza un ruolo ufficiale da comandante in capo, agita lo spettro dell’apocalisse con una mano, e cerca di negoziare con l’altra.
C’è chi dice che sia tutto calcolo. Che Trump stia solo testando i confini della sua influenza in un’America in campagna elettorale permanente, dove un’escalation internazionale può catalizzare paure, voti, e una narrativa da “uomo forte”. Ma giocare con la polvere da sparo nucleare per guadagnare qualche punto nei sondaggi è più che irresponsabile: è folle.
Nel frattempo, l’Iran rifiuta ogni idea di resa. Khamenei ha risposto con toni da rivoluzione permanente, minacciando vendette proporzionali, escalation regionali e colpi “imprevedibili”. Il Golfo Persico è in allerta, le petroliere fermate, i mercati impazziti, le cancellerie europee – come al solito – paralizzate tra indignazione e impotenza.
E la pace? Un concetto sempre evocato, mai praticato. È il grande assente nel teatro geopolitico attuale, trasformato in parola vuota o alibi tattico. Ma oggi più che mai, la pace non è solo un valore: è una necessità strategica. Senza un cessate il fuoco immediato, ci troviamo davanti all’innesco di una guerra su vasta scala che coinvolgerebbe, inevitabilmente, Stati Uniti, Russia, potenze regionali, e forse anche la Cina.
Nel mezzo di tutto ciò, il mondo resta sospeso. Le diplomazie parlano piano, i missili parlano forte.
E poi c’è la questione morale – che non va confusa con l’etica, come si diceva prima. Trump gioca con le leve del potere come se fossero chip da casinò, e la linea tra bluff e disastro si fa ogni ora più sottile. Si può davvero minacciare un leader religioso-nazionale con “non ti uccidiamo, per ora” e chiamarla strategia? Non è più deterrenza, è terrorismo semantico.
È qui che emerge il cuore della questione: abbiamo bisogno di pace, ma i protagonisti sul palcoscenico sembrano preferire l’adrenalina dell’orlo del baratro. Perché il caos – nella loro logica tattica – unisce le masse dietro il leader, zittisce le opposizioni, e sposta il focus dai fallimenti interni alle guerre esterne.
Un’altra ironia tragica del nostro tempo: il “nemico comune” come collante nazionale. Ma la storia insegna che le guerre moderne non finiscono con parate, bensì con milioni di profughi, economie devastate, e cicatrici geopolitiche che durano decenni.
Nel frattempo, le sirene suonano a Tel Aviv, il cielo si illumina sopra Isfahan, e Washington twitta.
Il mondo guarda, ma senza sapere se è spettatore o prossimo bersaglio.
Ore 17.51 Update
Appunto…
Il Presidente americano Donald Trump ha inviato mercoledì un messaggio ambiguo, lasciando intendere che le forze statunitensi potrebbero unirsi agli attacchi israeliani contro la repubblica islamica.
“You don’t know that I am going to even do it. You don’t know. I may do it, I may not do it, nobody knows what I’m going to do,”
Trump ha dichiarato durante un evento alla Casa Bianca. Seguite qui gli sviluppi e le reazioni mentre il mondo affronta un livello senza precedenti di confronto diretto tra Israele e Iran, e crescono i timori di una guerra totale.
https://www.nytimes.com/live/2025/06/18/world/israel-iran-trump