Se la crisi dell’identità digitale era già un grattacapo, World ex Worldcoin decide di gettarsi a capofitto nell’impresa titanica di risolverla con un gadget che sembra uscito da un film di fantascienza, ma che in realtà affronta un problema che, a oggi, non esiste davvero. Parliamo dell’Orb, quel dispositivo a forma di sfera che scansiona la tua iride per certificare che tu sia umano, e non un bot o un algoritmo che cerca di accedere al web. Sì, proprio così: in un’epoca dominata da AI che può mimare il comportamento umano con una precisione inquietante, il nuovo World (co-fondato dal CEO di OpenAI Sam Altman) dichiara guerra alle intelligenze artificiali spacciate per persone vere, promettendo di mettere una firma biometrica indelebile su chi sei — e solo su chi sei.
L’Orb ha appena subito un restyling “smart”: meno parti (ben il 30% in meno), più economico, e ora dotato di Nvidia Jetson, un chip pensato per robotica e AI. Già da questo si capisce che non si tratta di un banale scanner, ma di una macchina intelligente che, più che limitarsi a vedere la tua iride, ragiona su di essa, riconoscendo dettagli che — presumibilmente — non possono essere falsificati. Rich Heley, chief device officer di Tools for Humanity, la fondazione che sta dietro al progetto, ha fatto il suo annuncio al solito evento ricco di hype: per raggiungere il sogno quasi utopico di “dare accesso a ogni umano sulla Terra,” serve una quantità industriale di Orb. Parliamo di migliaia di volte più dispositivi di quelli attuali, sparsi ovunque, in ogni angolo del mondo.
Non è fantascienza: hanno addirittura ideato un servizio chiamato “Orb on Demand,” che sembra più una trovata di marketing che un vero prodotto. L’idea è semplice e ambiziosa — o inquietante, a seconda dei punti di vista: poter ordinare a casa tua una sfera scanner, tipo pizza o spesa online, per iniziare a “verificare umani unici” nella propria comunità. Qualcosa che fino a qualche anno fa sembrava pura distopia ora è servito su un piatto d’argento a chi si preoccupa di sicurezza e identità digitale in un’epoca dove il deepfake e i bot sono il pane quotidiano.
World sta espandendo la sua presenza globale, portando il dispositivo in paesi che vanno da Costa Rica, Brasile, Indonesia, Australia, Emirati Arabi a Marocco, con un occhio attento al lancio delle sue criptovalute associate, il token WLD. Peccato che in paesi chiave come gli Stati Uniti il token non sia ancora disponibile — dettaglio non da poco se si considera il progetto come una sorta di sistema universale di reddito di base (UBI) digitale legato all’identità umana.
Ad oggi, sono stati verificati quasi 7 milioni di “umani unici,” un numero notevole ma ancora lontano dall’ambizione globale che si sono prefissati. E proprio qui entra in gioco l’ombra lunga delle questioni privacy, che hanno già fatto vacillare il progetto. L’anno scorso il Kenya ha sospeso temporaneamente World per indagare sulle pratiche di raccolta dati biometrici; Hong Kong ha intimato di cessare le operazioni per rischi legati alla privacy, mentre anche Portogallo e Spagna hanno mosso le proprie riserve contro questo database biometrico privato che suona come una minaccia per chiunque sia sensibile alla sorveglianza digitale.
Ma la domanda che nessuno sembra porsi davvero è questa: in un mondo dove l’intelligenza artificiale potrebbe presto generare qualsiasi tipo di contenuto, avatar e perfino identità digitali perfettamente credibili, ha senso costruire un sistema globale di autenticazione umana basato su un hardware proprietario? E soprattutto, quanto siamo disposti a consegnare della nostra privacy e delle nostre impronte biometriche a un progetto privato che pretende di diventare il registro ufficiale dell’umanità online?
Se il futuro sarà quello che World immagina, dovremo preparaci a un mondo dove per provare di essere umani non basterà più un selfie o un CAPTCHA, ma un controllo irideo — consegnato, ovviamente, a chi detiene la tecnologia e la chiave di accesso. È la promessa di una rivoluzione digitale o l’ennesima cessione di sovranità personale mascherata da innovazione tecnologica? La risposta potrebbe segnare il confine tra libertà digitale e controllo totale.