La quiete è finita: ora HPE fa sul serio
Las Vegas, giugno 2025. Nella città delle illusioni, dei casinò e delle luci abbaglianti, il CEO di Hewlett Packard Enterprise Antonio Neri ha deciso di giocare una partita diversa. Nessuna roulette, nessun bluff: solo un keynote tagliente come un chip da data center, capace di smontare le facili narrazioni sulla trasformazione digitale per parlare di ciò che davvero conta. Ambizione.
Non quella che si legge sui manifesti pubblicitari. Quella vera. Quella che muove le aziende quando il capitale non basta più, e la tecnologia diventa la leva per riscrivere modelli di business, infrastrutture, strategie di mercato. Dieci anni dopo lo spin-off che ha dato vita a HPE come entità indipendente, Neri è salito sul palco del Discover 2025 con il tono di chi sa che il tempo della celebrazione è finito. Ora è il momento di decidere da che parte della storia si vuole stare.
La narrazione, costruita con maestria, non inizia dai server, né dall’AI, ma da un elemento molto più umano: l’ambizione come motore primario dell’innovazione. Perché è facile parlare di tecnologia. Molto più complesso è ricordare che ogni linea di codice, ogni algoritmo, ogni implementazione nasce da un’urgenza: quella di trasformare un’intuizione in realtà. E oggi, ci dice Neri, questa urgenza ha un alleato nuovo, potentissimo, e inevitabile: l’intelligenza artificiale.
Sì, lo sappiamo, tutti parlano di AI. Ma HPE lo fa con una lucidità operativa che suona diversa. Non c’è nessuna reverenza da Silicon Valley, nessuna mitologia nerd. Solo una constatazione: l’AI non è più una tecnologia. È diventata una forza strutturale, sistemica. Sta riplasmando industrie intere, ridefinendo ruoli aziendali, riscrivendo i limiti stessi dell’immaginazione. Non si tratta solo di generare contenuti con un prompt. Si tratta di orchestrare ecosistemi digitali fatti di agenti AI specializzati, operativi, scalabili.
L’espressione chiave, pronunciata da Neri con la freddezza chirurgica di chi sa dove sta andando, è “agentic AI”. Non è solo un concetto. È il nuovo paradigma: intelligenze artificiali che non aspettano istruzioni, ma prendono iniziativa, automatizzano decisioni in tempo reale, ottimizzano flussi e, di fatto, lavorano. Il che implica, ironicamente, che presto toccherà al CIO gestire non solo l’IT umano ma anche una forza lavoro digitale distribuita, invisibile, e in continua evoluzione.
Ed è qui che il discorso prende una piega più radicale. Perché mentre tutti si riempiono la bocca con l’AI, pochi si fermano a considerare la frizione nascosta: l’infrastruttura. Gran parte delle aziende – dalle medie imprese alle multinazionali – si trovano incastrate in architetture legacy stratificate, eredità di decenni di IT pensato per un mondo che non esiste più. Neri non fa sconti: “È come cercare di costruire un razzo sulle fondamenta di un treno”, afferma, con un’ironia secca che sa di verità operativa.
In questo scenario, HPE si propone non come fornitore, ma come architetto. Di infrastrutture, sì, ma anche di possibilità. La nuova brand identity – lanciata proprio sul palco del Discover – non è solo una scelta di design. È una dichiarazione. “We are HPE” è la nuova sintesi visiva e concettuale del gruppo. Un marchio essenziale, diretto, dichiarativo. Privo di fronzoli. Perché in un mondo dominato dalla complessità, la chiarezza è potere. E dichiarare chi si è, senza condizionali, è un atto politico.
Ma non è solo estetica. È sostanza. HPE non vuole più essere percepita come un player di seconda fila, confinata al mondo dei data center. Il suo portafoglio – espanso negli anni attraverso acquisizioni strategiche e investimenti mirati – copre oggi il continuum edge-to-cloud, con una verticalizzazione specifica sull’AI applicata. Dal software-defined everything all’hardware per training e inferenza, passando per ambienti ibridi pronti per workload AI nativi, il messaggio è chiaro: non vendiamo scatole, progettiamo il futuro.
Neri conclude il suo intervento con uno slancio quasi filosofico: non sarà la tecnologia a definire il futuro, ma l’ambizione con cui decideremo di usarla. È una frase d’impatto, certo, ma anche una sfida velata. Perché l’era dell’intelligenza artificiale non sarà gentile con chi aspetta. Non farà onboarding a chi è incerto. E non salverà chi continua a investire su modelli mentali nati in un’epoca pre-AI.
Il futuro, insomma, è un progetto open source. Ma qualcuno dovrà pur scriverne l’architettura.
E Antonio Neri, con HPE, ha chiarito di voler essere l’autore del primo commit.
Ambizione. È questa la parola che attraversa ogni istante di questo keynote come un fil rouge inevitabile. Non è uno slogan: è la forza primaria dietro ogni innovazione autentica. Per alcuni di voi, ambizione vuol dire aumentare la produttività aziendale, per altri vuol dire soddisfare una nuova generazione di clienti sempre più esigenti, sempre più imprevedibili. C’è chi è qui per costruire il futuro – con infrastrutture più intelligenti, più sicure, più sostenibili –e chi è qui per porre domande scomode, spingendosi oltre i confini di ciò che oggi sembra possibile.
In fondo, è sempre stata così la storia dell’innovazione umana: guidata da un’ambizione irrazionale, a tratti arrogante, di voler fare meglio, di voler cambiare le regole del gioco. È grazie a questa spinta che la società avanza, che le industrie vengono ribaltate da chi arriva da fuori, e che la nostra quotidianità si trasforma in qualcosa di nuovo, spesso senza che ce ne accorgiamo.
Ed è proprio qui che entra in scena l’intelligenza artificiale. Non come moda passeggera o come oggetto di marketing, ma come infrastruttura del nostro tempo. Oggi, l’AI sta trasformando la vostra ambizione in realtà. In tempi brevissimi. Con una portata che pochi sono pronti davvero a comprendere. E questa è la ragione per cui la nostra missione – quella di HPE – non è mai stata così cruciale.
Ci troviamo sull’orlo di un nuovo Rinascimento. Lo chiamano AI Era, ma ridurla a una questione di “macchine più intelligenti” è come descrivere Internet come un grosso fax. No: qui si parla di una rivoluzione strutturale nel modo in cui viviamo, lavoriamo, creiamo.
L’intelligenza artificiale generativa – ormai ben più che un acronimo in una slide – ha cambiato radicalmente il nostro approccio al lavoro creativo e operativo. Oggi basta un prompt per dare forma a un’idea, un’immagine, un documento, una strategia. Ma ciò che davvero sta ridefinendo la traiettoria è l’agentic AI: un’AI che non si limita più a rispondere, ma agisce. Prende decisioni, automatizza flussi, gestisce processi in tempo reale. In breve: lavora. E lo fa in modo scalabile.
Sta per nascere un nuovo tipo di forza lavoro digitale, composta da migliaia di agenti AI specializzati, distribuiti in tutta l’azienda. Sarà compito dell’IT orchestrare queste entità, come un direttore d’orchestra in un concerto dove ogni strumento suona un algoritmo diverso.
E non è finita. Perché poi c’è la physical AI – l’intelligenza che si manifesta nel mondo materiale. Robot che costruiscono, veicoli autonomi che consegnano, sistemi industriali che si adattano in tempo reale. Non è più solo un tema da science fiction: è logistica, produzione, manutenzione. È business operativo. È lavoro trasformato.
Questi non sono solo progressi tecnici: sono cambiamenti profondi nel tessuto della nostra realtà. E mentre l’innovazione accelera, accelera anche la complessità. Ogni azienda – dalla PMI ambiziosa alla multinazionale globale – si trova a dover affrontare una questione strutturale: la propria infrastruttura.
La verità è che molto del nostro mondo IT attuale è costruito su strati sedimentati di tecnologie legacy, nate per contesti ormai obsoleti. Un patchwork accumulato in decenni, che oggi frena l’agilità e aumenta il rischio. Per molti, è come cercare di costruire un razzo su fondamenta pensate per un treno.
Ecco perché questa nuova era non può essere affrontata con strumenti del passato. Serve un ripensamento radicale. Non basta “modernizzare”. Bisogna re-immaginare. E serve farlo adesso, perché l’AI – quella vera – non aspetta nessuno. Non fa onboarding. Non tollera l’inazione.
Se c’è una cosa che possiamo dire con certezza è che il futuro non sarà definito solo dalla tecnologia. Sarà definito dalla vostra ambizione e da quanto sarete disposti a lasciare andare ciò che non serve più, per fare spazio a ciò che potete diventare.
Noi siamo qui per questo.