Non chiamateli influencer. Anzi sì, ma fatelo con un certo rispetto. Perché dietro ogni post su LinkedIn, ogni thread apparentemente casuale su quanto sia figo il nuovo fondo pre-seed “climate & quantum aware”, si nasconde un’aristocrazia silenziosa del capitale di rischio italiano che ha finalmente capito che visibilità è potere. Non nel senso hollywoodiano del termine, ma in quello brutalmente operativo: deal flow, selezione, attrazione di LP. Nel 2025 il venture capital in Italia non si muove più solo dietro le quinte. Si espone. E la classifica di Favikon lo conferma: 20 nomi che contano più di una policy di Invitalia e di cinque pitch a SMAU messi insieme.

Comanda Nicolas Nati, CEO di Akka Italy. Un nome che fino a pochi mesi fa sarebbe sembrato uscito da un convegno su automazione industriale e ingegneria pesante. Ora invece è l’alfiere della literacy finanziaria 4.0: un evangelista delle startup scalabili con fondamentali veri, tipo EBITDA positivo e roadmap che non si sciolgono dopo la Serie A. In un’Italia dove le startup spesso sognano di diventare PMI e i fondi si accontentano di un exit su Teamsystem, lui predica disciplina e capitale intelligente.

Ma l’underground è nelle mani di Francesco Perticarari, soloVC in stile hacker, fondatore di Silicon Roundabout Ventures. Pre-seed, deeptech, approccio community-driven che sa di Berlino ma con l’accento di Reggio Emilia. È il tipo che non si limita a investire, ma costruisce ambienti. Che poi è la chiave dell’ecosistema: chi crea terreno fertile, oggi, controlla il futuro. E se vi sembra troppo filosofico, chiedete a Giancarlo Vergine, che con Over Ventures ha raccolto più di 90 milioni via equity crowdfunding. È come se fosse riuscito a rendere il venture capital popolare senza renderlo banale, un po’ come se Black Mirror fosse girato da Sorrentino.

Nel frattempo Umberto Bottesini, GP di BlackSheep Fund, ha deciso che AI e MadTech non sono solo buzzwords da slide pitch, ma la nuova infrastruttura culturale del continente. Parla di “sovranità europea dell’AI” come se fosse un ministro ombra dell’innovazione, e la cosa inquietante è che in parte lo è. Perché oggi i fondi non si limitano a investire: suggeriscono policy, orientano agende, riscrivono le priorità dell’Europa post-industriale.

Poi c’è la linea del Sud, incarnata da Giovanni De Caro, veterano dei seed fund in Mezzogiorno. Da oltre vent’anni predica smart funding, non come parola d’ordine ma come metodologia da imparare a scuola. I founder che passano da lui imparano più da una telefonata che da un acceleratore intero, e il suo imprinting si sente in una generazione di startup silenziosamente resilienti.

Stefano Peroncini (Eureka!) e Giuseppe Lacerenza (Keen) invece rappresentano due forme opposte ma complementari dello stesso archetipo: l’allocatore strategico. Il primo viene dal deep tech puro, una specie di CERN del venture capital; il secondo fonde AI e difesa come se stesse scrivendo un piano Marshall per l’era post-Chip War. Entrambi parlano poco, investono tanto e pensano lungo. Il che, in un Paese abituato al trimestrale, è quasi sovversivo.

Francesco Cracolici, invece, è il borderless per eccellenza: guida Nomadic Minds, ha il polso di 30+ startup nel mondo e ogni tanto si ricorda che l’Italia può ancora contare qualcosa, se la smette di pensare solo a Milano come centro dell’universo. Luca Rancilio è l’anomalia ereditata: con il suo Cube SICAF incarna l’impact investing con pedigree, il bridge con la Bay Area fatto però con stile austero da private banker. Racconta la sostenibilità senza retorica, e forse per questo è credibile.

Attenzione però ai nomi con la lama affilata. Novica Mrdovic Vianello – CEO di Add Value – è uno che sa fare M&A e CVC con lo stesso sangue freddo con cui uno chef taglia il tonno per un sashimi perfetto. Ha la testa nel deep tech e i piedi nella finanza vera. Gianluca D’Agostino, ex veterano del tech, oggi fondatore di The Techshop, invece porta sulle spalle 30 anni di esperienza e una narrazione sempre lucida, senza troppe storytelling mode: promuove SaaS, talento italiano e crescita senza compromessi.

Massimiliano Magrini? Basta dire che ha lanciato Google in Italia. Se servisse altro per essere legittimato, ha anche cofondato United Ventures, che di fatto è il benchmark implicito del VC tricolore. Ogni volta che twitta qualcosa, un founder cambia slide. Enrico Resmini, ex gestore da 4 miliardi, oggi guida a.Quantum come se fosse una fondazione segreta del Rinascimento digitale italiano: l’ecosistema glielo deve ammettere, senza di lui molte connessioni semplicemente non si sarebbero create.

Il capitolo Africa lo apre Andrea Censoni con Kili Ventures. Un piede a Roma, uno a Lagos, visione fluida e 750+ startup mentorizzate. L’Italia che si estende fuori dall’Italia, con metodo e non per nostalgia post-coloniale. Peter Kruger, invece, si è preso l’agroalimentare con AgFood Ventures. Chi pensava che foodtech fosse roba da hipster ha evidentemente ignorato la sua capacità di trasformare una filiera stagnante in un asset class sexy.

Sul fronte biotech e legal-tech, spunta Luca Campaiola, advisor a Berkeley SkyDeck. Uno che ragiona in termini di IP, diligence e compliance come se fossero forme di poesia strutturale. Se lo ascolti parlare, ti viene voglia di aprire una startup regolamentata solo per averlo nel board. Claudia Pingue, senior partner in CDP VC, è la connessione accademia-impresa che non sapevamo di avere. Ex PoliHub, ora regista di tech transfer, muove fondi come una direttrice d’orchestra che conosce anche i legni, non solo gli archi.

Chiudono Giuseppe Incarnato e Manuele Monti. Il primo ex corporate banker, oggi investitore in turnaround tech. Il secondo un PhD con la missione di costruire deep tech sostenibile. Due archetipi opposti che si completano: rigore finanziario e visione radicale, Excel e algoritmo etico.

Ecco, questi sono i 20. I nuovi monarchi dell’influenza venture, che non vendono corsi online ma strutturano i flussi dell’innovazione italiana. Li segui su LinkedIn, ma li vedi riflessi nei funding round che leggi sul Sole 24 Ore. Parlano di capitale, ma in realtà stanno ridefinendo le istituzioni. E non è detto che la politica abbia ancora capito cosa sta succedendo.