Unlocking the potential of dual-use research and innovation –

Ti svegli e la nuova frontiera non è la base militare ma il tuo data center. L’ultimo report della European Commission su dual use non fa diagnosi: fa un’iniezione di realtà direttamente nel cervello dell’innovazione europea. Civilian tech is the frontline? No, non è una frase fatta: è letteralmente quello che siamo diventati.

Qualche fatto fresco? La prima è che gli investimenti in tecnologie difensive in Europa hanno toccato un record di 5,2 miliardi di dollari nel 2024, con un aumento del 24% rispetto all’anno precedente. Un segnale che, finalmente, l’intero continente sta rispondendo con i fatti, non solo con conferenze e white paper. Eppure la consapevolezza strategica è ferma al palo: dual-use è visto come un intralcio normativo, e non come il vantaggio competitivo che è diventato.

Uno sguardo alla frontline: Helsing, un’AI-defence firm tedesca, ha appena chiuso un round di investimento da 600 milioni di euro, portando la sua valutazione a 12 miliardi, tra algoritmi di targeting e droni intelligenti. A Londra, PhysicsX – startup AI con radici in ingegneria da F1 – vola verso la valutazione da miliardo grazie a clienti come Leonardo Aerospace e Rio Tinto ft.com. Questi sono esempi concreti: non siamo più nell’arena di laboratori accademici, ma nell’arena reale, dove l’innovazione civile diventa asset strategico — o minaccia – se ignorata.

Eppure l’Europa continua a ignorare queste lezioni. Dual-use non è una categoria da etichettare: è una capability da radicare nel DNA dell’innovazione. Serve partire da TRL 4, integrare la difesa nel design, o buttare opportunità sul piano d’appoggio dei laboratori.

Nel frattempo i governi – e i venture capitalist – mostrano nervi scossi ma determinati. Il NATO Innovation Fund ha spronato un’ecosistema che ora conta 370 startup difensive in Europa, con una capitalizzazione combinata di 161 miliardi di dollari. Ma attenzione: la maggior parte dei round importanti è sovvenzionata da capitali statunitensi, soprattutto nelle fasi avanzate, lasciando un gap strategico .

Privati e istituzioni reagiscono. Il fondo EIF lanciato dalla Commissione europea – parte del piano “ReArm Europe” – metterà fino a 150 miliardi di euro sul piatto per incentivi comuni, compresi prestiti, investimenti e “defence omnibus” per semplificare la burocrazia. Tradotto: abbandoniamo un milione di consultazioni e iniziamo a consegnare capitale veloce, pipeline mission-driven e infrastrutture integrate.

E che dire dei testbed? DIANA, l’acceleratore NATO, è oggi operativo con 23 siti, 182 test center e prime startup selezionate su 2.400 candidature. Eppure, restano troppi rompicapi burocratici per i fondi di esportazione, la certificazione secure-by-design e l’interoperabilità transnazionale.

La linea di faglia successiva è data dai dati, non dai droni. Misuriamo la deterrenza in data access: alta qualità e dominio real-world. Nessun dataset, nessuna resilienza. Nessuna resilienza, nessuna fiducia. FT ricorda come l’Irlanda – tradizionalmente neutrale – stia spingendo su AI satellitare e radar come capacità critiche, grazie a dual-use con attitudine difensiva.

Un altro esempio: le hackathon a Sandhurst, con ingegneri, studenti e hobbyist, hanno prodotto prototipi per drone GPS-free in 24h, grazie a iniziative EU/NATO e fondi per military innovation da 800 miliardi €. Morale? L’innovazione è sottoterra, capita solo se ben incentivata, non se intrappolata in processi lenti da “too small to matter”.

Se l’Europa non unisce oggi R&D civile e difesa, verrà superata: gli avversari si muoveranno più veloci, con meno scrupoli o etica. E non serve un ministero. Serve un cambio culturale: non servono una DARPA o “ancora 10 anni di incontri”. Serve capitali rapidi, pipeline mission-based, integrazione folle.

Questo è il momento della verità. L’annuncio di Ursula von der Leyen su 200 miliardi dedicati all’AI – di cui almeno 50 miliardi pubblici e 150 privati – apre uno spiraglio anche su tech e dual-use, ma serve visione strategica, non solo slogan .

Fai un rapido check: vuoi alzare solo fondi o vuoi radicare innovazione difensiva? Oggi quelle che chiamiamo “startup” sono asset di sicurezza o potenziali disastri. La deterrenza si prende nelle infrastrutture digitali, nei dataset, nella fiducia. E per farlo servono: capitali europei con mindset difensivo; pipeline mission-driven integrate; governance snella e orientata al design resiliente. Questi non sono strumenti: sono munizioni.

Europa ha il potenziale. Ha i brevetti, le menti, la spinta geopolitica. Ma la visione strategica è ferma. Qualche startup centra l’obiettivo, ma il continente spesso gioca a troll sotto banco del global tech. La prossima era non è su chi lancia missili, ma su chi costruisce infrastrutture e algoritmi resilienti. Oggi, mentre leggi, l’ecosistema dual-use cresce: la domanda è – ferma davvero l’Europa o continua a inseguire?

La risposta farà la differenza tra leadership e dipendenza.