Da un report di Reuters Venerdi.

Donald Trump, campione del deregulationismo applicato al XXI secolo, ha deciso che l’intelligenza artificiale non deve solo evolvere: deve dominare. E come spesso accade nelle epopee americane, non si guarda troppo ai danni collaterali. Secondo quanto riportato da Reuters, il presidente starebbe valutando una serie di ordini esecutivi per sostenere lo sviluppo dell’AI, con un approccio che prevede l’uso estensivo di terra federale per costruire data center e una corsia preferenziale per i progetti energetici. Un piano perfettamente in linea con la retorica trumpiana: sovranità, velocità e niente burocrazia.

L’ironia della storia è che, per “vincere la corsa all’AI” contro la Cina, l’America potrebbe finire per compromettere la sua stessa rete elettrica. Secondo Deloitte, infatti, la domanda di energia proveniente dai soli data center AI passerà da 4 gigawatt nel 2024 a 123 gigawatt nel 2035. Giusto per dare una misura: 123 GW sono sufficienti a fornire elettricità a circa 100 milioni di case americane. E questi sono solo i data center. Per fare un paragone più familiare: è come se un’intera nuova nazione digitale avesse bisogno della propria centrale nucleare personale ogni sei mesi.

Il piano, in teoria, suona coerente. Il Department of Energy ha confermato a che l’amministrazione Trump “è focalizzata sull’aumento della resilienza e sicurezza delle infrastrutture energetiche USA”. Tradotto: serve più corrente, subito, e non si può più aspettare le valutazioni ambientali o gli studi di impatto. In pratica, si rischia di scardinare decenni di equilibrio tra sviluppo, conservazione e trasparenza.

Una delle proposte prevede l’accelerazione dei progetti energetici esistenti per connetterli alla rete, mentre un’altra, più ambiziosa (o temeraria), aprirebbe le terre del Dipartimento degli Interni alla costruzione di mega data center, bypassando le solite trafile legali. E qui il capitalismo performativo americano si mostra in tutta la sua potenza: se non possiamo espandere la rete in modo sostenibile, allora allarghiamo i confini del possibile, magari costruendo server farm nel mezzo di riserve naturali, giusto per far contenti gli algoritmi.

Trump, da par suo, non si limita ai provvedimenti regolatori. Ha rilanciato l’iniziativa Stargate — un nome che sembra uscito da una serie sci-fi degli anni ’90 — guidata da Oracle, SoftBank e OpenAI, che prevede un investimento da 500 miliardi di dollari per infrastrutture AI. Secondo le sue dichiarazioni, questo piano “creerà oltre 100.000 posti di lavoro americani”. Il tutto condito da una narrazione di grandezza patriottica in cui “solo sotto un nuovo presidente l’America può tornare a credere in se stessa”.

Ma, naturalmente, ogni distopia ha i suoi effetti collaterali. Mentre Amazon investe 30 miliardi tra Pennsylvania e North Carolina per i suoi data center, Elon Musk non è da meno: la sua xAI sta costruendo un supercomputer a Memphis, Tennessee. Il progetto, però, ha attirato attenzioni legali e minacce di causa da parte della NAACP, per presunte violazioni del Clean Air Act. È il paradosso dell’era AI: mentre digitalizziamo ogni processo umano, dimentichiamo che la materia prima è ancora fisica, sporca e inquinante. Per far girare ChatGPT servono fiumi di elettricità, e quei fiumi devono passare da turbine, centrali, cavi e, spesso, qualche compromesso ambientale non proprio trascurabile.

Il tutto, chiaramente, in un contesto in cui la domanda energetica americana sta crescendo molto più rapidamente del previsto. La stessa U.S. Energy Information Administration conferma l’impennata, legata in parte proprio ai data center e alle infrastrutture necessarie per far girare i modelli AI. A differenza di quanto accadeva nei primi anni del cloud, oggi ogni modello linguistico genera un’orma di carbonio che, se sommata per miliardi di query, supera abbondantemente quella di un’intera città.

Eppure Trump, da sempre affascinato dalle narrazioni di potenza industriale, pare aver colto l’occasione per posizionarsi come il paladino del “ritorno alla grandezza energetica americana”. D’altronde, quale miglior simbolo di forza tecnologica se non un supercomputer alimentato da centrali a gas costruite su suolo federale?

Ovviamente, nessun piano trumpiano sarebbe completo senza un po’ di confusione su criptovalute. Alla domanda diretta di Decrypt sul fatto se fosse disposto a disinvestire dalle sue attività personali nel settore crypto per agevolare la regolamentazione, Trump ha risposto che lui ha costruito l’industria crypto americana. E che, senza di lui, la Cina l’avrebbe già conquistata. Un modo come un altro per non rispondere.

Quella che si sta profilando non è solo una corsa per il predominio dell’intelligenza artificiale, ma una vera e propria ridefinizione delle priorità infrastrutturali ed energetiche degli Stati Uniti. L’AI, con la sua insaziabile fame di dati e corrente, è diventata il nuovo petrolio. Ma se un tempo bastava trivellare il suolo, oggi bisogna scavare nei meandri del tessuto legale, ambientale e democratico. E, a giudicare dalla velocità con cui Trump vuole procedere, c’è da chiedersi se la corsa all’AI sarà una maratona lungimirante o l’ennesimo sprint cieco verso l’abisso.